Nonostante le difficoltà, gli scienziati italiani continuano a produrre studi di grande qualità

Sostenibilità e impresa, ecco le idee per l’Italia dei giovani economisti ambientali

Le ricerche Seeds: ecoinnovazione, green management e politica economico-ambientale

Nonostante permanga la stasi negli investimenti in ricerca e sviluppo, da decenni intorno allo 1,3% del Pil (contro il 3% come obiettivo previsto dalla dimenticata Agenda di Lisbona) e crollati in termini reali rispetto al pre-2009 in settori specifici quali l’università, i giovani scienziati italiani continuano a produrre ricerca di qualità, ‘credendo’ nelle nuove sfide poste dalla politica europea. Ricerca che è alla base della competitività italiana presente e soprattutto futura.

Le recenti strategie di politica ambientale dell’Unione Europea, prime fra tutte quelle finalizzate alla mitigazione del cambiamento climatico, hanno enfatizzato l’importanza dello sviluppo e della diffusione delle innovazioni ambientali per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra concordati tra gli stati membri per il 2020 e il 2030. Tale enfasi si è tradotta in ingenti investimenti pubblici di stimolo all’innovazione ambientale: si stima che i fondi destinati dal Settimo Programma Quadro a ricerca sui temi relativi al cambiamento climatico siano stati circa 9 miliardi di euro per il periodo 2007-2009, mentre il Piano di azione per l’ecoinnovazione (Environmental technologies action plan – Etap) ha destinato oltre 12 miliardi di euro a progetti di ricerca nei vari programmi di finanziamento dell’Unione europea. Nonostante quest’enfasi sul ruolo dell’innovazione ambientale quale volano per stimolare allo stesso tempo la crescita economica e il miglioramento della qualità ambientale, studi recenti hanno messo in evidenza una serie di criticità che suggeriscono il bisogno di interventi pubblici integrativi.

Uno dei principali temi di ricerca in questa direzione del Centro interuniversitario Seeds (Sustainability environmental economics and dynamics studies) riguarda la valutazione di come le strategie pubbliche volte a favorire e stimolare la transizione verso la green economy influenzino le attività economiche, in particolare le risposte delle imprese in termini di sviluppo e adozione di innovazioni ambientali.

Le strategie di investimento ‘ambientale’ delle imprese italiane…

Nell’attuale contesto di crisi economica, in un momento di risorse (pubbliche e private) limitate e di contrazione degli investimenti, le scelte delle imprese in termini di orientamento strategico risultano particolarmente fondamentali. Una ricerca di Alberto Marzucchi (università Cattolica di Milano e Seeds) e Roberto Antonietti (università di Padova) pubblicata recentemente su Ecological Economics ha analizzato se, e in quali circostanze, le strategie di investimento ‘verde’, oltre ad avere un effetto sull’ambiente in termini di minori pressioni, consentono alle imprese di guadagnare competitività e accrescere la presenza sui mercati esteri. I risultati hanno dimostrato che investimenti in tecnologie ambientali orientati alla crescita del valore della produzione – piuttosto che alla riduzione dei costi – possano accrescere la produttività e, di conseguenza, permettere alle imprese di fronteggiare i costi legati all’internazionalizzazione, specialmente quelli legati alla penetrazione di mercati caratterizzati da forti regolamentazioni ambientali.

…possono coniugare innovazioni ambientali e profittabilità d’impresa…

La valutazione del ritorno ‘finanziario’ delle strategie di innovazione ambientale è stato oggetto di una ricerca recentemente pubblicata da Claudia Ghisetti (università di Ferrara e Seeds) e Klaus Rennings (Center for european economic research, Zew, Mannheim, Germania) sul Journal of Cleaner Production. L’analisi valuta i ritorni sulla profittabilità d’impresa collegati all’adozione di innovazioni ambientali per un ampio campione di imprese tedesche. I risultati hanno evidenziato che talune scelte innovative, in particolare quelle finalizzate alla riduzione dell’utilizzo di materiali, del consumo energetico o delle emissioni di anidride carbonica causano miglioramenti sulla profittabilità delle imprese. Innovazioni volte alla riduzione delle esternalità negative di produzione (ad esempio inquinamento in aria, acqua, rifiuti) hanno invece avuto ricadute negative. Tali differenze in termini di profittabilità di diverse categorie di innovazioni ambientali sono dovute al diverso grado di appropriabilità dei benefici, che risulta essere più elevato per quelle innovazioni che migliorano l’efficienza produttiva e riducono i costi rispetto a innovazioni specificamente indirizzate a ridurre le pressioni dei processi produttivi sull’ambiente.

…mostrando varie categorie di imprese ‘eco-innovative’…

Una ricerca pubblicata da Giovanni Marin (Ircres-Cnr e Seeds), Alberto Marzucchi (università Cattolica di Milano e Seeds) e Roberto Zoboli (università Cattolica di Milano, Ircres-Cnr e Seeds) sul Journal of Evolutionary Economics ha identificato 6 differenti categorie di piccole e medie imprese europee in base alla loro percezione delle barriere all’innovazione ambientale e all’effettivo successo nell’adozione di tali innovazioni. Le barriere percepite dalle imprese riguardano la presenza di elevati costi collegati all’adozione di innovazioni ambientali, l’assenza di un mercato che premia l’adozione di tali innovazioni e la carenza di informazioni e conoscenza interna alle imprese. La risposta alla percezione di queste barriere può comportare da un lato l’abbandono delle strategie eco-innovative (barriere deterrenti) oppure, dall’altro lato, un ulteriore investimento (non necessariamente finanziario) al fine di superare tali barriere con successo (barriere rivelate). Altre due categorie di imprese percepiscono elevate barriere, rispettivamente, di costo e di mercato, che limitano i ritorni economici (dal lato dei costi o dei ricavi) delle innovazioni ambientali e la loro adozione. L’analisi mette infine in evidenza due categorie di imprese agli antipodi che, in presenza di una ridotta percezione di barriere all’innovazione ambientale, risultano essere, rispettivamente, disinteressate a strategie eco-innovative o fortemente orientate a mettere strategie eco-innovative al centro della loro attività.

…che usano fonti di conoscenza esterne all’impresa…

Alla luce dei potenziali effetti positivi che la scelta di strategie orientate all’ambiente può avere per il raggiungimento degli obiettivi comunitari sia di riduzione degli impatti ambientali che di incremento di competitività, una ricerca pubblicata da Claudia Ghisetti, Alberto Marzucchi e Sandro Montresor (università ‘Kore’ di Enna) su Research Policy ha analizzato le determinanti che spingono le imprese europee ad adottare scelte produttive più sostenibili, così da meglio guidare politiche pubbliche che le possano stimolare. Il risultato più originale che emerge da questo contributo è che strategie d’impresa volte ad acquisire conoscenza ed informazioni esterne – da altre imprese, così come da università o istituti di ricerca – facilitano significativamente la probabilità che le stesse adottino innovazioni ambientali, a indicare che più un’impresa è “aperta” verso l’esterno più acquisisce strumenti informativi utili a renderla più orientata a strategie innovative ambientali.

…come supporto all’innovazione ambientale nell’industria europea…

Prendendo il caso dell’industria automobilistica europea, una ricerca di Nicolò Barbieri (università di Bologna e Seeds) pubblicata su Ecological Economics ha evidenziato come le politiche ambientali e le caratteristiche della conoscenza tecnologica influiscono sulla forma e la direzione dello sviluppo tecnologico. Da un lato, il risultato ottenuto evidenzia che le misure di politica ambientale sono efficaci nell’indurre innovazione ambientale e che la loro crescente severità ha effetti positivi sullo sviluppo tecnologico in campo automobilistico. Si è riscontrato che una delle principali leve per stimolare le innovazioni ambientali sia proprio il prezzo dei carburanti e la tassazione sugli stessi. Dall’altro lato, l’analisi ha messo in luce le dinamiche che stanno alla base del processo di creazione della conoscenza tecnologica. Per esempio, i risultati hanno evidenziato che maggiore è la vicinanza tecnologica – similarità tra i domini tecnologici che caratterizzano le singole imprese – maggiore è l’impulso per lo sviluppo di tecnologie ambientali. Imprese molto vicine in un ipotetico spazio tecnologico (ad esempio imprese automobilistiche attive nello sviluppo di motori ibridi), aumentano la produzione di tecnologie ambientali ottenendo un maggior output tecnologico con minore sforzo relativamente ad imprese che sviluppano tecnologie totalmente differenti.

…che necessita di politiche che fissino obiettivi seri e credibili e continuo supporto allo scambio di conoscenze

Se resta confermato il ruolo centrale delle politiche pubbliche di stimolo all’innovazione, le attività di ricerca del Seeds sopra descritte sottolineano come non possa essere trascurato il ruolo di altre componenti altrettanto determinanti quali, ad esempio, la collaborazione tra imprese e l’ utilizzo di fonti di informazione esterne all’impresa, la capacità e volontà di superare le barriere esistenti, l’apertura internazionale e la prossimità tecnologica. In aggiunta, le innovazioni ambientali sono una categoria non omogenea che racchiude al suo interno innovazioni che sono autonomamente profittevoli, per le quali dunque lo stimolo derivante da regolamentazione ambientale può essere meno rilevante ed altre innovazioni che, di contro, comportano perdite finanziarie tali da rendere di fatto cruciale la presenza di una regolamentazione ambientale che ne stimoli l’adozione. Fermo restando però che, anche se alcune innovazioni portano a ridurre il ritorno finanziario, la scelta di strategie di ‘investimento’ verde determina per le imprese italiane un maggiore grado internazionalizzazione, che passa attraverso effetti positivi sulla produttività delle stesse.

di Seeds

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