Un aiuto psichiatrico per la nostra economia quotidiana

L’era dell’homo oeconomicus, se mai ce n’è stata una, è oggi al tramonto. Quel personaggio grigio che popola (soltanto) montagne di manuali di economia – e va bene, qualcuno è arrivato davvero anche nelle nostre città –, e che ha così pesantemente influenzato il moderno sviluppo economico e sociale, si sta pian piano riducendo a mito sotto i colpi della scienza. Quel che manca per un addio definitivo è una spinta, decisa ma gentile, che gli anglofoni chiamerebbero nudge.

Dopo decine e decine di anni di indottrinamento non è però affatto semplice accettare un simile addio e riconoscere pienamente che, anche quando si tratta di economia, siamo e rimaniamo fondamentalmente umani, con le nostre emozioni e la nostra irrazionalità. È da questa necessità che si presenta l’esigenza di uno «psychiatric help per la nostra economia quotidiana», per dirla con le parole di Matteo Motterlini, fresco autore de La psicoeconomia di Charlie Brown (Rizzoli). Un libro che aiuta a riconoscere come «l’universo organizzato sulla “razionalità economica” non funziona», e offre al contempo un tratteggio efficace di quelle discipline oggi in piena evoluzione – come l’economia comportamentale e le neuroscienze – che aprono a un’interpretazione diversa e più realistica di quello stesso universo, che noi tutti abitiamo.

«L’irrazionalità umana – fa notare Motterlini – non è una calamità che colpisce a caso. Segue percorsi precisi. È cioè sistematica, e perciò prevedibile. Sfiorando il paradosso, possiamo dire che la nostra irrazionalità è indagabile razionalmente, attraverso l’osservazione e l’esperimento, con metodo scientifico. È il prodotto di meccanismi automatici della nostra mente che conosciamo sempre meglio, anche nei termini dei loro correlati neurali. Ma se non siamo razionali, dovremo prenderne atto. Noi come singoli, ma soprattutto la politica e le istituzioni: economia, finanza e policy making. Abbiamo bisogno di ricondurre al mondo reale i modelli economici dei manuali su ci abbiamo costruito le fondamenta di un sistema di vita, lavoro e commercio che sta collassando».

La via offerta dal nudge, e descritta ne La psicoeconomia di Charlie Brown – da una parte con vispi richiami al mondo dei Peanuts e dall’altra con ricchi richiami bibliografici, in un agile doppio piano di lettura – segue una strada quanto mai pragmatica: quella dei dati e degli esperimenti sul campo, riassunta nella formula dei randomized controlled trials: «Nel gruppo di sperimentazione si applica il trattamento di cui s’intendono studiare gli effetti, mentre un gruppo di controllo ne riceve uno diverso o nessuno», procedendo poi a un’analisi statistica ad hoc dei risultati conseguiti. Non saranno così la teoria o le opinioni ad avere l’ultima parola sulle politiche da perseguire, ma la realtà dei fatti.

Una strategia simile a quella che storicamente ha già dato ottimi risultati per il progresso, ad esempio, della medicina, e che oggi siamo in grado ad applicare in altri e vasti campi. Non ultimo quello dello sviluppo sostenibile. «Come si potrebbero indurre i cittadini, per esempio – riflette Motterlini – a utilizzare fonti energetiche che nel lungo periodo garantiscono risparmi economici e un maggior rispetto per l’ambiente? Attraverso il green default. Si tratta semplicemente di indicare, per esempio, nella stipula di un contratto, l’opzione “verde” come default». Ma le applicazioni non si limitano all’energia, anche se pure la filosofia nudge preferisce concentrarsi su questo pilastro della sostenibilità e non altri; i rifiuti, ad esempio. Attualmente in Italia è in gran voga l’idea della tariffa puntuale associata alla raccolta differenziata: ne sono mai stati testati gli effetti tramite randomized controlled trials, verificando che in tutti i contesti sia davvero l’opzione migliore da applicare? O ancora, sono mai state disegnate spinte gentili che possano aiutare i consumatori a scegliere i prodotti ottenuti da materiali riciclati, anziché materiali vergini? No, ed è un peccato. Sarebbe un campo molto interessante da sviluppare. E potrebbe essere uno spunto ancor più interessante, in quanto ancora poco indagato, da perseguirsi in territorio italiano. Molti paesi – USA e UK in testa – sono infatti già più avanti di noi per quanto riguarda il nudge, e hanno attivato delle proprie behavioural units che possano tradurre la filosofia della spinta gentile in politiche pubbliche definite. L’anno scorso anche l’UE ha inaugurato TEN, The nudge european network, nel quale figura anche il Cresa diretto proprio da Motterlini. L’Italia in questa gara è ancora indietro, ma ha tutte le carte in regola per recuperare alla grande. Basta una spinta per iniziare la corsa.