Brasile, la solitudine delle comunità quilombolas nella lotta a Covid-19

Sono discendenti di africani schiavizzati, che vivono nelle terre dove i loro avi hanno duramente lavorato e dato la vita, ma ancora oggi continuano ad essere discriminati. «Stiamo lottando non solo per la nostra sopravvivenza e quella dei nostri territori, ma anche perché tutti coloro che consumano i prodotti possano alimentarsi di cibo con meno pesticidi»

Per arrivare a Cachoeira, nel cuore delle comunità quilombolas della Bacia e Vale do Iguape, ci vogliono diverse ore di viaggio su una strada asfaltata da Salvador de Bahia.  Da questa cittadina di qualche migliaio di abitanti  distesa sul rio Paragaçu, per raggiungere i singoli insediamenti quilombolas, la storia diventa un’altra. Strade sterrate, inagibili con le piogge e inaccessibili con i mezzi pubblici. L’isolamento qui, prima della pandemia, si misurava in assenza di infrastrutture, di acqua potabile, di servizi, di scuole.

Ma prima dell’avvento di Bolsonaro era in atto un processo di ricoscimento dei diritti della popolazione quilombolas che passava dal riconoscimento della proprietà collettiva alle diverse comunità. I quilombolas infatti sono discendenti di africani schiavizzati, che vivono nelle terre dove i loro avi hanno duramente lavorato e dato la vita, ma che sono rimaste in gran parte agli eredi dei fazendeiros che quel lavoro lo sfruttavano. O cedute a  grandi multinazionali per impiantare dighe o centrali idroelettriche, come succede anche nella Bacia e Vale do Iguape.

Con loro lavoriamo da molti anni perchè i diritti vengano riconosciuti e anche perchè non continuino ad essere discriminati dalle istituzioni. Tutti i passi avanti fatti con le presidenze di Lula e Dilma Roussef  si sono dissolti con le politiche anti indigeniste di Bolsonaro. E oggi che il Brasile affronta la pandemia da Covid-19 con un negazionista al potere (che sta affrontando in questo periodo anche diverse fratture all’interno del governo stesso, con le dimissioni dei ministri della giustizia, il potente Moro, e della Salute, Mandetta, ndr) tutti i popoli indigeni e tradizionali, tra loro i quilombolas, non sono certo aiutati dallo Stato. Il materiale informativo sull’emergenza Covid-19, prodotto dal nostro progetto “Terra de direitos” e diffuso ai vari leader comunitari, è dunque fondamentale.

Ad oggi (27 aprile) qui casi confermati sono 7,  29 i casi sospetti e 5 decessi, ma i numeri, anche se approssimativi, sono in continua crescita in tutta la regione e qui si comincia ad aver paura. L’ospedale locale non è attrezzato e in molti ormai vivono di un bassissimo sussidio, difficile da prendere. Non esistono praticamente strutture sanitarie e molte persone rischiano di ammalarsi senza neppure essere registrate come casi.

Abbiamo parlato con Ananias Viana, Rosangela Viana, alcuni dei membri del Consiglio dei quilombolas locale che riunisce 17 comunità, Givania Silva, parte del Coordinamento nazionale di articolazione delle comunità nere rurali quilombolas (Conaq) per capire cosa sta succedendo:

Quale sono le misure di prevenzione sono state adotatte nelle comunità?

ANANIAS – In questo momento tutte le misure adottate dal governo sono state solo di informazione alla popolazione. Ma il governo non è capace di rispondere alle necessità della popolazione dal punto di vista della salute, ancor meno se si parla di quilombos e indigeni. Se dipendesse da Bolsonaro il Brasile avrebbe già battuto il record di morti: il governo, ad esempio, ha interrotto i sussidi sociali e ora la situazione si è aggravata molto perché è aumentato il numero delle famiglie che ne hanno bisogno. Il Parlamento è riuscito a far passare un sussidio di 600 reais (pari a circa 120 euro, ndr), ma il problema per molti è averne accesso.  Qui nei quilombos della Bacia e Vale do Iguape abbiamo il fiume che chiamiamo “supermercato di Dio”, dove la popolazione trova sussistenza. Ma in altri luoghi molte persone stanno sentendo la fame.

ROSANGELA – Stiamo mettendo in atto, in maniera autonoma, l´isolamento sociale, che è la miglior misura preventiva, ma il sussidio emergenziale, nonostante sia necessario, sta causando raggruppamenti di persone nei luoghi proposti all’erogazione (banche, tabaccai, etc) di tutto il territorio. Una parte significativa di chi ne ha diritto infatti non possiede il computer con accesso ad internet. Non è stata pensata una strategia per una consegna che evitasse di esporre al pericolo i beneficiari.  Sono state sospese tutte le riunioni e le attività collettive e abbiamo preso misure di controllo su entrata e uscita dai territori. L’importante è che il virus non entri in una comunità perché al nostro interno il distanziamento sociale è praticamente impossibile: i quilombolas vivono insieme, le famiglie, i figli con i genitori, i nonni con i nipoti. Questo facilita la propagazione del virus. In partenariato con Cospe sono state create delle brochure informative sulla prevenzione e sulle misure igieniche da adottare che abbiamo divulgato nelle reti sociali e direttamente nel whatsapp dei leader. Le donne delle comunità invece confezionano le mascherine. Facciamo da soli perché lo stato non c’è. L’ospedale di Cachoeira non è attrezzato né l’equipe medica minimamente formata. L’unica speranza è che il virus non arrivi davvero.

GIVANIA – Abbiamo presentato ai vari livelli istituzionali richieste e suggerimenti perché venissero adottate azioni immediate e emergenziali per rispondere alle necessità delle comunità. Ma purtroppo ci scontriamo con un quadro che il Covid-19 ha ulteriormente amplificato: le comunità già soffrivano direttamente l´assenza di politiche pubbliche, se il Covid-19 arriva nelle comunità il quadro peggiorerà perché qui siamo già in una situazione di estrema fragilità. Abbiamo chiesto interventi rapidi ma non arriveranno, la realtà è che attualmente in Brasile non dobbiamo solo difenderci dal coronavirus un scenario anche e soprattutto dagli impatti nefasti del governo Bolsonaro, un governo estremamente razzista, violento, che cerca a qualsiasi costo di destabilizzare, ma anche sterminare, popoli e comunità tradizionali.

Quali sono i principali problemi e sfide che state affrontando?

ANANIAS – Economicamente, la sostenibilità è a rischio perché le persone non possono uscire dal quilombo per lavorare, né vendere quello che producono.

GIVANIA – Stiamo affrontando diversi problemi sul piano politico. Dal golpe (si riferisce all´impeachment di Dilma Roussef, ndr) in poi, tutti gli organi, le politiche, le risorse del governo destinate alle comunità quilombolas sono state chiuse. Sono state chiuse o depotenziate le istituzioni, svuotati i budget e estinte le politiche. Dunque, in un momento come questo non sappiamo neppure a chi rivolgerci.

Un altro problema è il razzismo che struttura la nostra società, che attraversa da secoli le nostre vite. E certamente in questo momento si amplificherà. Noi stiamo sentendo dire dal nuovo ministro della Salute che non serve comprare molti respiratori perché dopo non si sa cosa farsene, che se ci sarà un unico respiratore disponibile di fronte ad un giovane e ad un anziano lo utilizzeranno per il giovane perché l´anziano già è prossimo alla morte comunque. Nelle nostre comunità quilombolas ci sono molti anziani che già hanno molti problemi, malattie croniche che li rendono vulnerabili. Certamente con questa concezione di politica di salute, sommata al razzismo che già uccide le donne nere, i giovani neri, i nostri anziani sono oggi in prima linea verso la morte.

Un altro problema è che non esiste una linea di finanziamento che incentivi la produzione per le comunità che ad oggi non producono ma che invece potrebbero produrre, generando auto-sussistenza ed alimenti per le comunità quilombolas vicine. Direi che come gruppo sociale che storicamente soffre i danni dell´assenza di politiche pubbliche, noi quilombolas oggi siamo estremamente preoccupati perché sappiamo che se il numero dei contagi aumenta, molto probabilmente questo scenario si aggraverà.

Quali sono le forze messe in campo in questo momento così difficile?

GIVANIA – Come Conaq ci siamo impegnati a produrre informazioni, orientare i nostri, sostenere campagne, mobilitare la società e i nostri partner per sostenere le comunità, accompagnare le azioni insieme al movimento campesino e ai movimenti sociali per incidere sul governo rispetto alle misure emergenziali, sapendo che è un ambiente estremamente ostile.

I quilombolas hanno una disputa grande che è il territorio. Il governo oggi vuole destinare tutte le terre per l´agrobusiness, esattamente le terre che i popoli e le comunità tradizionali, i lavoratori rurali dispongono per la produzione di alimenti sani. Quello che vogliamo far sapere alla società tutta è che quanto più terra se toglie ai quilombolas, quanto più terra si toglie dagli assentamentos (le terre della riforma agraria, ndr), quanto più terra si toglie agli indigeni e agli altri popoli e comunità tradizionali, maggiore è la possibilità di aumentare il veleno negli alimenti. Stiamo lottando non solo per la nostra sopravvivenza e quella dei nostri territori, ma anche perché tutti coloro che consumano i prodotti possano alimentarsi di cibo con meno pesticidi. Su questo aspetto, l´intera società brasiliana dovrebbe prendere coscienza e dovrebbe, insieme a noi del campo, della foresta e delle acque, unire le forze per combattere la concentrazione di terre nelle mani dei grandi, l’avvelenamento degli alimenti e la contaminazione dei fiumi, così come la deforestazione e la distruzione delle foreste.