Cercis, i giovani ricercatori italiani si confrontano sulla transizione ecologica
Eventi meteo estremi, clima, agricoltura e tasse verdi al centro della quarta sessione scientifica nel workshop annuale ospitato dall’Università degli studi di Ferrara
Durante la quarta sessione scientifica dell’ultimo workshop Cercis, ospitato dal dipartimento di Economia e Management dell’Università degli studi di Ferrara, molti giovani ricercatori hanno presentato l’avanzamento dei propri studi confrontandosi su diverse problematiche legate alla transizione ecologica e alla sostenibilità ambientale.
La sessione è stata aperta dalla presentazione di Chiara Lodi, che ha presentato il progetto avviato in collaborazione con Giovanni Marin (entrambi Università degli Studi di Urbino) e Marco Modica (GSSI). L’attività di ricerca è focalizzata sugli effetti di eventi climatici estremi sugli outcomes dei Comuni di 9 Regioni italiane, focalizzandosi sullo studio del ruolo di tali istituzioni pubbliche locali nelle attività di adattamento e gestione di eventi alluvionali.
I Comuni infatti ricoprono un ruolo cruciale nelle fasi di prima emergenza e di gestione del rischio e, il loro grado di risposta, dipende dal livello di resilienza, vulnerabilità ed esposizione al rischio. Lodi e i suoi colleghi hanno testato empiricamente l’effetto di determinate alluvioni su tre voci di bilancio dei comuni italiani presi in considerazione (abbiano ottenuto il riconoscimento di stato emergenziale).
Il modello empirico applicato è un metodo di analisi controfattuale (difference in differences con PSM) che considera, come variabili di studio, le spese totali, le entrate totali e il surplus netto pro capite per ogni comune colpito.
I ricercatori hanno trovato come le performance di spesa generale dei Comuni aumentino in modo sostanziale nella fase successiva agli eventi calamitosi e che le entrate totali si riducano nello stesso periodo, mostrando una ripresa solo dopo il terzo trimestre dall’evento. Inoltre, il gruppo ha evidenziato una forte eterogeneità tra i comuni italiani in base al loro livello di vulnerabilità e resilienza (considerati in modo multidisciplinare e non solo geografica). Ciò che è emerso è che i Comuni più resilienti e meno vulnerabili mostrino minori effetti economici negativi causati dalle alluvioni essendo già preparati a tali eventi grazie a precedenti investimenti.
Il secondo studio presentato è stato quello di Niccolò Parissi, studente di dottorato dell’Università di Trento, che ha condotto una meta-analysis su effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura: ovvero, uno studio che considera tutte le ricerche pubblicate su un argomento specifico utilizzando i risultati delle stesse per generare una base informativa per definire risultati di carattere generale sulla letteratura disponibile.
Lo studio di Parissi ha analizzato dunque tutti gli articoli scientifici pubblicati su effetti del cambiamento climatico in agricoltura, utilizzando una base di 211 studi scientifici e oltre 5400 osservazioni misurando gli effetti delle variazioni delle temperature e delle precipitazioni sulla variazione dei raccolti. I risultati della ricerca indicano come, in base all’analisi degli studi pubblicati sul tema, l’aumento della temperatura abbia un effetto negativo sui raccolti di circa il 3,6%, mentre le precipitazioni abbiano una relazione positiva di circa lo 0,17% di variazione dei raccolti. L’autore sottolinea però che le condizioni di partenza siano fondamentali per considerare gli effetti del cambiamento climatico, infatti, aree già condizionate da limitate precipitazioni e alte temperature medie subiranno effetti avversi maggiori rispetto ad aree meno calde e più piovose. Inoltre il ricercatore ha evidenziato come lo studio non consideri i potenziali effetti di malattie, attacchi parassitari, eventi estremi e altri fonti variabilità che potrebbero ulteriormente condizionare gli effetti negativi degli impatti del cambiamento climatico a livello globale.
Il terzo studio è stato presentato da Andrea Pronti, in collaborazione con Massimiliano Mazzanti e Susanna Mancinelli del dipartimento di Economia e management (Dem) dell’Università di Ferrara, e Luca Crudeli di Marine market systems. Il gruppo di ricerca ha applicato le teorie sociologiche del capitale simbolico di Bourdieu all’analisi del concetto di “good farmer” alle aree rurali del Mozambico (Nampula e Manica).
Nello specifico i ricercatori hanno realizzato un’analisi testuale e un’analisi del “sentimento” per identificare i principali schemi interpretativi e l’orientamento semantico dato dagli agricoltori a che cosa rappresenti per essi essere un “buon agricoltore”. Tale concetto, secondo i ricercatori, può essere fondamentale per instaurare processi di innovazione o l’introduzione di pratiche sostenibili di tipo bottom-up per consentire processi di sviluppo endogeni adattati alle peculiarità delle singole realtà rurali.
Le evidenze dello studio mostrano che gli agricoltori effettivamente seguano dei modelli precostituiti di decisione basati su norme sociali e credenze condivise essenzialmente diverse dai modelli rurali di tipo occidentale. Infatti, tra i principali elementi su cui si basano tali credenze vi è un forte riconoscimento della solidarietà e della mutualità fra agricoltori, oltre ad una grande importanza del ruolo dell’agricoltore nella trasmissione di conoscenze tecniche e tecnologiche agli altri membri della comunità.
Per il gruppo di ricerca tale elemento può essere fondamentale per proporre politiche di sviluppo adattate ai contesti tradizionali in modo tale da poter risultare efficaci ai singoli contesti e non distruttive verso le peculiarità tradizionali e culturali di ogni singola comunità rurale.
Chiara Oppi ha presentato invece il suo lavoro realizzato in collaborazione con Caterina Cavicchi ed Emidia Vagnoni, anch’esse del Dem di Ferrara. Le ricercatrici hanno analizzato il caso studio di “FRI-EL Greenhouse” l’unica azienda italiana specializzata nella produzione idroponica di pomodoro con processi di circular economy attiva dal 2015 e con sede a Ostellato (Ferrara). L’azienda produce circa 8.000 tonnellate di pomodori all’anno utilizzando il calore generato da una centrale a biogas per illuminare le serre con luci artificiali in modo da consentire la produzione di pomodori 365 giorni all’anno.
La centrale a biogas è alimentata da piante a fine ciclo e dai pomodori non adatti alla vendita. Anche i fertilizzanti sono creati tramite il riutilizzo di biomasse di “scarto” dal ciclo di produzione, mentre il sistema d’irrigazione nelle serre utilizza l’acqua piovana e la CO2 prodotta dai cogeneratori non viene rilasciata e viene recuperata dalle piante stesse attraverso i processi di fotosintesi clorofilliana. Attraverso il caso studio, il gruppo di ricerca ha approfondito il ruolo di alcune capacità dinamiche utili a sviluppare le competenze organizzative per una gestione dell’energia in ottica di economia circolare, al fine di supportare la creazione di modelli di business circolari, lo sviluppo di progetti di economia circolare e la creazione di partnership per l’innovazione.
I risultati dello studio indicano come l’energy management, la conoscenza dei processi produttivi e delle materie prime per massimizzare l’efficienza produttiva, la capacità di comunicare la cultura in azienda, e la rendicontazione verso i clienti finali e i fornitori possano incentivare la performance economica ed ambientale delle piccole e medie imprese in campo agricolo, incrementando il loro vantaggio competitivo.
La sessione si è conclusa con la presentazione dello studio condotto da Gianluigi de Pascale, Mariantonietta Fiore e Francesco Contò, del dipartimento di Economia dell’Università di Foggia. Il lavoro del gruppo di ricerca si è focalizzato sull’analisi della “reattività” (buoyancy) del sistema di tassazione fiscale verde europeo alle fluttuazioni del ciclo economico (crescita economica), concentrandosi su tre tipologie di tasse ambientali: energia, trasporti (tasse applicate alle transazioni di veicoli), inquinamento e consumo di risorse.
Lo studio ha mostrato che le tasse applicate alle energie sono rigide, mentre le altre, con particolare rilevanza di quelle applicate ai trasporti, sono molto reattive al ciclo economico. Secondo i ricercatori il consumo di energie provenienti da fonti non rinnovabili è un fatto che prescinde dalla congiuntura economica in quanto riguarda il soddisfacimento di bisogni di prima necessità degli individui, oltre che rappresentare un importante fattore produttivo per l’economia europea essendo l’andamento del Pil europeo strettamente correlato al mercato dei trasporti.
Inoltre, lo studio illustra che in caso di attuazione di una politica cosiddetta di “tax shifting” da una fonte – come per esempio le tasse sul reddito dei lavoratori o il reddito delle imprese – ad un’altra fonte per determinare un doppio dividendo (di carattere sociale e ambientale), è doveroso avere attenzione del grado di buoyancy della fonte di “partenza” e di “arrivo” del meccanismo di shifting al fine di evitare squilibri finanziari nei bilanci pubblici.
Ancora una volta, il seminario annuale Cercis ha mostrato una vivace e giovane comunità scientifica formata da validi ricercatori impegnati ogni giorno nello studio delle criticità legate ai processi di transizione ecologica e di sostenibilità ambientale spaziando fra diverse aree di studio e svariati approcci metodologici. Talvolta tali criticità non sono visibili in modo definito, e le innumerevoli sfumature legate alle problematiche socio-ambientali possono apparire più chiare sia ai cittadini sia ai policy maker solo grazie al supporto della ricerca sociale.
di Andrea Pronti, Chiara Lodi, Chiara Oppi, Niccolò Parissi e Gianluigi De Pascale per greenreport.it