Il servizio idrico necessita di investimenti, a oggi solo l’11% arriva dalle tariffe
Che fine ha fatto il referendum del 2011 per l’acqua pubblica?
Nei decreti attuativi del governo per la riforma Madia disposizioni che annullerebbero l’esito delle urne
Il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato 11 decreti legislativi, attuativi della Legge Madia, per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Fra gli 11 decreti c’è anche il Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, definizione che comprende anche il servizio idrico integrato.
A un mese di distanza da quel Consiglio dei Ministri non è ancora stato pubblicato un testo ufficiale del decreto ma il testo ufficioso che è in circolazione (in allegato, ndr) desta gravi preoccupazioni perché contiene disposizioni che, se confermate, annullerebbero gli esiti del referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua. Il testo, infatti, esclude la possibilità di gestire in economia o mediante aziende speciali i servizi a rete, fra cui l’acqua, e reintroduce (anche per l’acqua) nel calcolo delle tariffe l’adeguata remunerazione del capitale investito, espressamente abrogata con il referendum del 2011.
Il provvedimento segue altri interventi del governo Renzi in materia, contenuti nello Sblocca Italia e nella Legge di stabilità 2015, che con una serie di disposizioni incentivano gli enti locali a privatizzare tutti servizi pubblici locali, compresa la gestione dell’acqua.
Quando si parla di servizio idrico inevitabilmente si parla delle disfunzioni del sistema e degli ingenti investimenti necessari per avere un servizio idrico efficiente e acqua di qualità. Il nostro servizio idrico è gravato da dispersione delle reti del 37%, carenze infrastrutturali, mancanza di impianti di depurazione e di sistemi fognari, problemi di approvvigionamento idrico, infrazioni comunitarie. Servono ingenti investimenti per infrastrutture, impianti e per la manutenzione. L’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico nel 2013 ha stimato un fabbisogno di almeno 65 miliardi di euro di investimenti per i prossimi 30 anni, stima che potrebbe essere superata dai Programmi degli interventi predisposti dai vari enti di governo d’ambito.
Un recente rapporto di Italia sicura analizza le fonti di finanziamento degli interventi del settore idrico: teoricamente gli investimenti dovrebbero essere finanziati principalmente attraverso il sistema tariffario, così come stabilito dal D. Lgs. 152/2006 e dalla normativa europea ma il rapporto, analizzando 5812 interventi (di cui 4039 lavori conclusi, 885 lavori avviati e 888 lavori non avviati), mette in luce una realtà diversa. Il finanziamento complessivo di questi interventi ammonta a quasi 12 miliardi di euro, e di questi solo l’11% proviene dalla quota di cofinanziamento dei gestori attraverso i proventi delle tariffe. Il resto proviene da finanziamenti pubblici di varia natura: Fondo sviluppo e coesione, Fondo europeo di sviluppo regionale, risorse nazionale, regionali, provinciali e comunali. Il quadro che emerge è disarmante.
Ovviamente la questione degli investimenti strutturali è determinante e ineludibile, considerato lo stato attuale del servizio. Si possono valutare varie ipotesi: dagli idro-bond alla fiscalità generale, dal ruolo pubblico attraverso la Cassa depositi e prestiti alla riduzione delle spese militari, all’istituzione di tasse di scopo sull’acqua imbottigliata o sull’uso delle sostanze inquinanti. Quello che non possiamo permettere è che venga ignorata completamente la volontà popolare e che si spinga sempre più per una gestione privata del servizio idrico, dove tutti i costi restano a carico delle tariffe e degli investimenti pubblici e il privato continua a fare profitti in contrasto con l’espresso pronunciamento referendario.
L’acqua è un bene comune fondamentale e in quanto tale deve essere di proprietà e gestione pubbliche al pari di salute, istruzione e sicurezza. Il servizio idrico va sottratto alle logiche di mercato e gestito con percorsi improntati alla democrazia partecipativa. Per affermare questi principi e dare pieno riconoscimento alla volontà popolare espressa in modo netto e chiaro nel referendum del 2011 è necessario contrastare l’approvazione di tutte le disposizioni che contraddicono quella volontà e approvare in tempi rapidi una legge di recepimento dell’esito referendario che ne colga sia gli effetti giuridici che il valore ideale.
Con questo articolo Simona Fabiani, responsabile Ambiente e territorio della Cgil nazionale, inizia la sua collaborazione all’interno del think tank redazionale di greenreport, Eco2 – Ecoquadro.
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