Coltivare biodiversità e sovranità alimentare in Tunisia, a partire da giovani e donne
Fatiha Mosbahi è una ingegnere agronomo, tornata nel suo villaggio natale: qui recupera i semi locali per poi distribuire le piantine agli agricoltori della regione
In Algeria, Tunisia e Marocco i giovani rappresentano una fetta importante dell’intera popolazione, costretta a scontrarsi con una situazione lavorativa tanto fragile quanto precaria. Alla forte esclusione economica segue un senso di marginalità sociale che colpisce duramente la popolazione, soprattutto le giovani laureate.
Sullo sfondo delle Primavere arabe e di una crisi economica importante, il tessuto sociale (ed economico) di questa area del mondo ha ovviamente registrato dei dati preoccupanti.
Le zone rurali di Jendouba, Sidi Bouzid, Gabès, Mahdia e Sousse, in Tunisia, quella di Bouira in Algeria e le aree di Rabat, Tangeri e Tétouan in Marocco, sono fra le più colpite e presentano elevati tassi di disoccupazione giovanile, soprattutto tra le giovani laureate (Banca mondiale, 2018).
In Tunisia sono tante le donne che lavorano nei campi dei grandi produttori agricoli in condizioni di sfruttamento con una paga giornaliera misera e senza alcuna copertura sociale. È terribile pensare che ogni mattina le operarie rischiano la propria vita, ammassate sui camion dei caporali per raccogliere frutta e ortaggi fino al tramonto.
A Sidi Bouzid, la regione dove ebbe inizio la rivoluzione del 2011 e dove ancora oggi le principali fratture allora create risultano irrisolte, una donna ha deciso di lottare per creare una sua impresa alternativa e lavorare per reintrodurre i semi locali.
Oggi ingegnere agronomo, dopo anni in una fabbrica di sementi importate, Fatiha Mosbahi ha deciso di ritornare nel suo villaggio natale in campagna, a Souk Jdid, per fondare la sua serra e sensibilizzare lavoratori e lavoratrici dell’agricoltura a reintrodurre i semi locali. Qui Fatiha, insieme a due soci, si impegna non solo nel recuperare i semi locali di ulivi, viti e altre specie tipiche della regione quanto anche di reintrodurre il biologico, per poi distribuire le sue piantine agli agricoltori della regione.
La storia di Fathia si inserisce nel progetto “Restart – Riqualificazione ecologica e sociale dei territori attraverso il rilancio dell’imprenditoria giovanile in Tunisia, Marocco e Algeria”, con il quale Cospe si impegna a favorire l’inserimento socio-economico dei giovani in Algeria, Tunisia e Marocco, in particolare in quelle aree maggiormente colpite dalla crisi economica.
Con la creazione di più di 50 imprese giovanili per la riqualificazione territoriale, il desiderio è dare risposte alla marginalizzazione lavorativa e sociale giovanile, alla carenza di opportunità di istruzione e di lavoro, e al diffuso sentimento di alienazione dei giovani rispetto alle loro comunità e territori.
L’esperienza di Fatiha, così come tante altre che stiamo incrociando in queste zone, ci mostra la possibilità di coltivare biodiversità, recuperare le varietà locali, praticare l’agroecologia e ridurre gli sprechi di cibo. Esiste quindi una chiave per garantire la sovranità alimentare e mitigare gli effetti della crisi climatica, avviando al tempo stesso nuove economie basate sulla protezione dell’ambiente e dei diritti.
Pilote Agri è una delle imprese che come Cospe – insieme ai nostri partner – stiamo accompagnando e sostenendo grazie ai progetti Restart nella Regione di Sidi Bouzid. Quella di Fathia è una delle tante storie e testimonianze che hanno arricchito il webdoc “Storie solidali dalla Tunisia”, raccontate da Arianna Poletti, Arianna Pagani, Sara Manisera e Wahib Ben Chadla.