Da rifiuti zero a impianti zero? Uno stallo che l’area livornese non può permettersi

I comitati si scagliano contro Rai 2 per un servizio su Scapigliato, dove il Polo impiantistico di proprietà pubblica sta diminuendo l’uso della discarica per recuperare più materia ed energia

A due giorni dall’addio dato dal Comune di Livorno alla rete dei rifiuti zero, a valle delle posizioni pretestuose assunte sulla gestione del termovalorizzatore cittadino, la polemica si sposta in provincia, sul Polo impiantistico di Scapigliato a Rosignano Marittimo.

Qui il Comune, dove nell’ultimo anno la raccolta differenziata è cresciuta dal 48% al 70% grazie alla diffusione del porta a porta – l’obiettivo si sposta ora al 75%, afferma il sindaco – è anche proprietario di maggioranza (83,5%) di Scapigliato, una società interamente pubblica (il rimanente 16,5% è in mano ad Alia, la cui compagine sociale fa capo ai Comuni dell’Ato centro) che gestisce l’omonimo Polo impiantistico, dove si gioca una delle partite più importanti per l’economia circolare provinciale e regionale.

A Scapigliato ha sede la discarica per rifiuti non pericolosi più grande della Toscana, un presidio ambientale che dal 2019 ha intrapreso un virtuoso percorso di diversificazione impiantistica diminuire progressivamente gli smaltimenti ed incrementare il recupero di materia ed energia, condividendo col territorio locale i benefici legati ad un’economia più circolare.

Da quando è stato presentato il progetto – denominato “Fabbrica del futuro”, di cui abbiamo dato puntualmente conto su queste pagine – i conferimenti in discarica sono diminuiti del 27%; il biogas di discarica (una fonte rinnovabile dovuta alla degradazione dei rifiuti organici) viene captato e restituito alle famiglie locali sotto forma di elettricità scontata del 25-100% in base alla distanza dall’impianto; sono stati donati 43mila olivi (alla fine del progetto saranno 250mila) per compensare totalmente le emissioni di CO2eq rilasciate dall’impianto sin dal 1982; è stato varato un piano industriale da 78 mln di euro per preparare il Polo allo stop dei conferimenti in discarica (l’Aia in vigore lo prevede al 2030) lasciando spazio a nuovi impianti (tra cui spicca un biodigestore anaerobico per recuperare biometano e compost dalla raccolta differenziata organica) e migliorando gli altri esistenti (a partire dal Tmb).

Un percorso di sviluppo sostenibile che si è conquistato sabato scorso la ribalta nazionale del programma Rai 2 Italian green. Una buona notizia? Non per il “Coordinamento provinciale rifiuti zero Livorno”, che ha scagliato oggi una dura invettiva parlando di «toni trionfalistici a dir poco imbarazzanti», di «classico greenwashing» e ricordando inchieste come la Dangerous trash (iniziata nel 2017, il processo è partito solo un anno fa ed è ben lungi dal concludersi).

Senza entrare nel merito della riconversione industriale in corso, il Coordinamento ha preferito buttarla in politica: «L’amministratore delegato (di Scapligliato, ndr) è l’attuale segretario provinciale del Pd, il partito che governa sia il Comune di Rosignano, proprietario all’83% della discarica, sia i principali comuni proprietari di Alia, il socio di minoranza della discarica. Riteniamo preoccupante e scandaloso che un segretario di partito sia anche al vertice della discarica più grande della Toscana. Non ci vengano poi a raccontare che sono a favore degli inceneritori perché sono contrari alle discariche! I nuovi leader del Pd a livello nazionale e regionale, Schlein e Fossi, dovrebbero intervenire».

Non è chiaro se l’accusa principale guardi alla proprietà totalmente pubblica dell’impianto (meglio totalmente privata?), o al fatto che chi fa (anche) politica possa gestire impianti di pubblica utilità, ma tant’è. Lo spunto di riflessione per Schlein e Fossi, semmai, potrebbe essere un altro: la Toscana, che aspetta il nuovo Piano regionale rifiuti dal 2018, ha un disperato bisogno di nuovi impianti per gestire gli scarti che imprese e cittadini generano ogni giorno.

A livello regionale si parla di un deficit pari a 597mila t/a solo per i rifiuti secchi, arrivando a oltre 1 mln t/a estendendo il quadro anche a rifiuti organici e fanghi di depurazione, per rispettare gli obiettivi Ue al 2035. Ma quando si affaccia l’ipotesi di mettere a terra qualsivoglia impianto industriale di gestione rifiuti, insieme alla disinformazione fioccano le sindromi Nimby & Nimto che impediscono anche solo un confronto razionale nel merito.

Un esempio recente arriva dal Distretto circolare proposto per Empoli e basato sulla tecnologia di riciclo chimico, alternativa alla termovalorizzazione e dai più elevati profili di sostenibilità – al progetto in essere a Roma sono stati destinati fondi Ue per 194 mln di euro –, tanto da conquistarsi anche l’appoggio di Legambiente Toscana. Non quello dei comitati rifiuti zero, che hanno avversato il progetto empolese e che si stanno mettendo di traverso anche all’ipotesi avanzata proprio per Rosignano (dove un progetto neanche c’è, come confermato pochi giorni fa dal sindaco).

Una contrarietà, beninteso, più che legittima. Il problema semmai è che pare basata su fallacie logiche, senza dunque offrire alternative percorribili alla gestione dei rifiuti che pur continuiamo a generare.

«La nostra posizione – spiegava un mese fa ad Empoli il presidente Zero waste Europe, Rossano Ercolini – nasce dall’analisi dei numeri forniti dall’Agenzia recupero risorse regionale, riferiti al 2021, i quali mostrano in maniera eloquente come i rifiuti residui della zona Ato centro della Toscana siano stati circa 150mila tonnellate, che sarebbero potute essere trattate da specifici impianti a freddo, con i quali intercettare un ulteriore 50% di rifiuti riciclabili, lasciando così solo 75mila tonnellate detossificate, in linea con la politica di rifiuti zero, da poter stoccare nelle discariche che sarebbero più dei depositi. Con il trattamento termico, che ha per altro dei costi dieci volte superiori, rimane invece il 25% come rifiuto pericoloso».

Tale posizione, purtroppo, non collima con la realtà sin dalle premesse. I dati dell’Agenzia citati (pubblicamente disponibili qui) mostrano che i rifiuti urbani residui (rur) nell’Ato centro ammontano a 281.845 ton l’anno, cui si aggiungono – come dettagliato dall’assessora regionale all’Ambiente – circa 120mila ton di scarti della raccolta differenziata. I dati Ispra raccolti a livello nazionale informano invece che gli “impianti a freddo”, più propriamente detti di trattamento meccanico-biologico (come il Tmb in dotazione a Scapigliato), in media avviano a riciclo lo 0,9% dei rifiuti in ingresso mentre il 43,8% va in discarica e il 25% è termovalorizzato.

Sorvolando sul resto, preme sottolineare un cortocircuito. «La politica di rifiuti zero» appena dettagliata sembra ritenere più sostenibili le discariche per rifiuti non pericolosi (come quella presente a Scapigliato, oggetto delle accuse dei comitati rifiuti zero) rispetto al «trattamento termico» (ovvero la termovalorizzazione), nonostante la gerarchia europea per la corretta gestione dei rifiuti sia molto chiara nell’affermare l’opposto: dopo le politiche di prevenzione e riuso, nell’ordine occorrono impianti di selezione e avvio a riciclo dei rifiuti; filiere industriali dove avviene il riciclo vero e proprio; impianti per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili; impianti di smaltimento controllato per le frazioni non recuperabili.

Per dare davvero corpo all’economia circolare, la sfida culturale è quella di comprendere che servono tutti questi impianti, ognuno per gestire il relativo livello di competenza. Non ci sono scorciatoie alla complessità dello sviluppo sostenibile. L’unica alternativa che rimane, altrimenti, è quella del cosiddetto “turismo dei rifiuti”: in Italia per i soli rifiuti urbani ci sono già 120mila viaggi di camion l’anno, che percorrono 68 mln di km a spese del clima (40mila ton di CO2) e del portafogli (75 mln di euro in più sulla Tari pagata dai cittadini).