Dalla quarta rivoluzione industriale cinque milioni di posti di lavoro in meno
Una perdita netta di 5 milioni di posti di lavoro per i prossimi 5 anni. È l’effetto della quarta rivoluzione industriale, quella dell’high technology: internet, biotecnologie, servizi. A Davos, durante le giornate dell’World economic forum, l’appuntamento annuale che coinvolge centinaia tra decisori politici, imprenditori e amministratori delegati delle grandi imprese globali, l’attenzione è sul futuro prossimo e sugli impatti che la globalizzazione 2.0 avrà sulle nostre vite.
Su “Future of jobs”, il report del Wef pubblicato alcuni giorni fa prima dell’apertura dei lavori, ci si chiede come imprese e governi possano reagire a sviluppi che potrebbero portare, nel peggiore degli scenari, a carenza di competenze, disoccupazione di massa e aumento delle diseguaglianze. Secondo le tendenze attuali, si avrebbe una perdita netta di 5,1 milioni di posti di lavoro, derivanti da uno shift dai settori produttivi di beni e della pubblica amministrazione verso i servizi di alta tecnologia con una decisa trasformazione delle caratteristiche del mondo di lavoro.
«Un futuro che vede governi e società adattarsi alle esigenze dei mercati – dichiara Alberto Zoratti, responsabile Economia e lavoro dell’ong italiana Cospe – Secondo l’élite economica per la nuova rivoluzione industriale c’è necessità di riformare il sistema educativo, di rendere più flessibile il mercato del lavoro, di sostenere l’innovazione. Ma nulla che parli di un vero cambiamento di rotta, di regole per riportare i mercati nell’alveo di una politica a misura di cittadino. L’adattamento presuppone risorse dedicate e politiche chiare di programmazione economica. Senza tutto ciò sappiamo già chi sarà la vittima sacrificale della tanto decantata New economy: le comunità del Sud del mondo e i settori più vulnerabili della popolazione».
«Adattarsi ai mercati vuol dire accettare di diminuire le risorse destinate alle politiche pubbliche e tagliare risorse pubbliche vuol dire colpire i welfare di cittadinanza che per primi consentono alle donne di poter scegliere e partecipare alla vita pubblica di un paese – sottolinea Debora Angeli, responsabile Politiche di genere dell’ong italiana Cospe – è già chiaro a tutti quanto le politiche economiche liberiste abbiano colpito nel profondo la sfera dei diritti colpendo i sistemi di welfare. La New economy potrà solo peggiorare il quadro ed è importante che su questo i movimenti delle donne prendano parola».