Deserto, migranti e cambiamenti climatici tra cerniere e barriere
«Molto spesso la migrazione è di chi legittimamente ambisce a migliorare le proprie condizioni di vita». Peggiorate dall’instabilità climatica
Tra le principali sfide a cui il continente africano è attualmente chiamato a rispondere, la mobilità delle sue persone è tra le prioritarie. Più volte queste singole scelte vanno oltre le situazioni di conflitto o di povertà raccontate dai media, e riguardano piuttosto la volontà di maggiori guadagni economici, del desiderio di accedere a mercati di lavoro e di istruzione differenti e, ancora, del bisogno di sottrarsi dagli effetti che il cambiamento climatico ha comportato negli ultimi anni.
Ad affrontare questa tematica, tra musica e incontri, il Festival au Désert che ha unito Firenze nelle giornate dal 30 giugno al 2 luglio, coinvolgendo società civile, esperti e interessati al continente africano. Il Festival au Désert Firenze, nato nel 2010 dalla collaborazione tra il Festival au Désert di Essakane (Mali) e la Fondazione Fabbrica Europa, ogni anno ospita i grandi nomi della musica del mondo e porta a Firenze il meglio della world music attuale, oltre a occasioni di incontro e confronto.
La tre giorni artistica è infatti arricchita da incontri che raccontano di geopolitica, aspetti internazionali e conseguenze socio-ambientali degli stessi.
Quest’anno a parlare della zona del Sahel è stato Luca Raineri, ricercatore in Security studies e relazioni internazionali presso la Scuola Sant’Anna di Pisa ed ex collaboratore COSPE. L’intervento Il Sahel conteso: conflitti locali, flussi transnazionali e rivalità strategiche ha permesso una riflessione trasversale che si è mossa tra i conflitti in Nord del Mali, gli attacchi jihadisti, l’impatto sulla popolazione e il contesto storico/geografico di riferimento, con accenni interessanti a questioni climatiche e alla desertificazione dell’area. Tra povertà, dipendenza dall’agricoltura e degrado ambientale, il Sahel offre oggi una chiave di lettura ulteriore nel comprendere le dinamiche migratorie, soprattuttointerne al continente africano.
«Si tratta di territori dove le risorse sono molto poche – ci ricorda Ranieri -, siamo ai margini del deserto dove la crescita demografica è tumultuosa e dove quindi naturalmente i conflitti per l’accesso alle poche risorse naturali sono all’ordine del giorno. Uno dei temi che lega l’area de Sahel al nostro mondo è quello delle migrazioni. Se ne parla secondo me ancora purtroppo da una prospettiva un po’ appiattita e semplificatoria: molto spesso la migrazione è di chi legittimamente ambisce a migliorare le proprie condizioni di vita”. Peggiorate sicuramente anche dall’instabilità climatica che distrugge risorse e mette a rischio attività di milioni di persone e lo loro vite.
Che si tratti di eventi climatici improvvisi o se, al contrario, di situazioni ormai croniche in aree colpite da siccità e dell’avanzare della desertificazione, emerge uno scenario allarmante e mal conosciuto che unisce i cambiamenti climatici all’impossibilità di fermarsi in una determinata area geografica.
L’instabilità climatica, conseguenza implicita dell’attività dell’uomo, interessa ormai i singoli cittadini su scala globale e, in questo, alcune aree più di altre. Dal fenomeno del land grabbing al degrado del suolo e dall’innalzamento delle temperature a vaste aree desertiche e scarso accesso all’acqua, tutto questo si confronta con instabilità politica, sociale ed economica che colpisce duramente gli abitanti del luogo.
Se infatti i cambiamenti climatici da soli non sono la causa assoluta di migrazioni forzate, sono sicuramente fattori decisivi laddove esista già una forma di vulnerabilità.
A ricordarlo le parole di Raineri, che porta alla memoria del pubblico il deserto come veicolo d’incontro: “Il deserto è come una sorta di mare essiccato che non deve trasformarsi in barriere o cerniere chiuse per le agende politiche nazionali, ma piuttosto essere terreno di scambio e confronto”. Giungere a una consapevolezza maggiore, che possa permettere un’analisi approfondita delle cause di questi movimenti forzati e della migrazione in generale vuol dire anche riconoscere l’intreccio tra cambiamento climatico e l’aumento di difficoltà per le singole persone ed essere in parallelo in grado di rintracciare strumenti e buone pratiche per affrontarlo.
Valentina Geraci, Cospe per greenreport.it
Cospe si impegna da anni interviene in tutto il mondo, e in particolare nell’africa sahelina (Niger, Mali ) e in Senegal con progetti di contrasto ai cambiamenti climatici, attraversola conversione ecologica dell’economia e degli stili di vita, delle relazioni fra i generi e con la natura.www.cospe.org