Diritto al cibo, quell’occasione sprecata (o quasi) del governo italiano
In occasione della giornata mondiale per il diritto al cibo, la Delegazione Generale per la Cooperazione e Sviluppo del Governo Italiano ha organizzato un evento in pompa magna presso la FAO, intitolato “Food Losses and Food Waste”, con la partecipazione di tre ministri della Repubblica, due sottosegretari, e tutte le massime cariche del polo romano delle Nazioni Unite.
Invitati a partecipare, i rappresentanti delle ONG italiane si sono ritrovati immersi in una palude di fumosi dibattiti e magniloquenti dichiarazioni sui presunti meriti del Governo per il sostegno alle auto-nominate eccellenze del sistema-Italia, con l’unico, malcelato, intento di offrire una vetrina di lusso all’Expo 2015 di Milano: evento commerciale, fiera del business biopolitico del futuro, acqua, cibo, terra ed energia, a cui evidentemente il nostro governo intende delegare – in assenza di altre idee – la questione della lotta alla fame, alla sete e al degrado ambientale, che invece richiederebbe ben altra leadership politica.
Scenetta all’italiana a cui tuttavia plaude lo screditato consesso degli alleati del G8: capitanata da Cameron, l’iniziativa Alliance for Food Security and Nutrition cerca ostinatamente di restituire ad affaristi e speculatori le chiavi del sistema alimentare che essi stessi hanno contribuito a rovinare, con grande profitto personale, nonostante le mobilitazioni delle organizzazioni contadine di tutto il mondo.
Malgrado l’impegno sincero del moderatore della giornata, Andrea Segrè dell’Università di Bologna, che alla lotta allo spreco alimentare ha dedicato la sua vita, l’impronta pubblicitaria dell’evento non ha certo aiutato a intavolare una discussione seria, informata e concreta sulle cause della fame e le soluzioni possibili, al di là degli slogan e delle apparenze diplomatiche.
Eppure ogni anno il valore del cibo prodotto e buttato via, in Italia, supera i 9 miliardi di euro, quasi mezzo punto del PIL, che fra l’altro equivalgono al consumo d’acqua di 19 milioni di utenti (un terzo del totale) finiti dritti dritti nelle fogne. E per qualcuno si tratta di stime al ribasso.
Il segretario generale della FAO, Da Silva, ha ammesso che il recupero del cibo sprecato sarebbe in grado di nutrire altri 2 miliardi di persone (più del doppio del totale di esseri umani che oggi soffrono la fame), senza ulteriormente impattare sull’ambiente.
Insomma, il mondo ha la capacità di sfamare l’umanità: il problema non è nella produzione, ma nell’accesso e nella distribuzione. Un problema politico, non tecnico. Lo dicono e se lo ripetono tutti i convitati, tranne l’ex-ministro dell’agricoltura prodiano Paolo di Castro, attuale presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo e paladino del credo liberista, che ancora oggi preferisce salmodiare che la fame nel mondo dipende dalla mancanza di cibo (da quando quegli sfrontati di cinesi si sono messi a mangiare carne come noi, s’intende), e si risolve quindi solo aumentando la produzione. Una visione tanto in linea coi più recenti studi e al passo coi tempi quanto i capelli cotonati o una canzone dei Cugini di Campagna…
Partita dai movimenti contadini, veicolata dalle ONG internazionali, la vera soluzione si è infine fatta strada anche nei compassati consessi ONU: sottrarre il cibo alle speculazioni di mercato, approntare meccanismi di stabilizzazione dei prezzi, e adottare politiche coerenti per sostenere la sovranità alimentare e l’agricoltura contadina nel mondo come in Europa. Forse, lentamente, anche qualche ministro nostrano ci sta arrivando.
di Luca Raineri (Cospe)