Un’analisi dei dati nazionali alla luce della performance europea
Economia circolare e competitività: luci e ombre di un’Italia al bivio
Senza investimenti in ricerca e sviluppo e formazione, insieme a ben disegnate politiche ambientali, il Paese rimarrà fermo al palo
L’economia circolare è la parola magica del momento: trova consensi nel mondo delle imprese per l’enfasi su green jobs e innovazione, spinge il policy maker a rivedere e integrare il piano delle consolidate politiche sui rifiuti con nuovi elementi e obiettivi.
Dall’uscita del documento della Commissione europea nel 2015, il focus della ricerca e del mondo produttivo ha trovato convergenza sui tanti ‘casi’ e buone pratiche che stanno emergendo; un contenitore ricco e ampio è quello offerto dalla fondazione MacArthur.
Gli studi di caso non consentono tuttavia di comprendere lo stato generale delle cose, in altre parole lo stato delle tendenze macroeconomiche relativamente a uso delle risorse, innovazione, produttività.
In questo senso è utile soffermarsi nell’analisi (fact checking) dell’economia circolare attraverso il nuovo sito dedicatole da Eurostat. Come sempre quando si guardano i dati, qualche sorpresa emerge.
In primo luogo, prendendo uno degli indicatori sintetici della performance di economia circolare, ovvero il Pil per unità di materiale usato dal sistema, appare una tendenza 2007-2016 che vede l’Italia in forte crescita di efficienza. L’Italia, superando Francia, Spagna e Regno Unito, si colloca nel 2016 al primo posto dentro l’area EU28, con un indice quasi doppio rispetto a quello tedesco (ovvio con una crescita più bassa del Pil). Bassa crescita, ma alta efficienza nell’uso delle risorse.
Anche guardando al lato ‘innovativo’ dell’economia circolare (Patents related to recycling and secondary raw materials), si nota come l’Italia sia in crescita e superi Regno Unito e Spagna. Questo indicatore è chiaramente una delle basi della produttività delle risorse naturali, e conferma il dato dell’Eco innovation scoreboard, con l’Italia ampiamente sopra la media europea.
Le ombre emergono quando si apre la pagina degli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S), cronica deficienza italiana degli ultimi 20 anni. Già nel campo ambientale l’Eco innovation scoreboard mostra una relativa carenza in questo senso.
Il quadro aggregato R&S, su cui più volte ritorno essendo un obiettivo strategico della Ue (Agenda di Lisbona), in quanto determinante primario di crescita e progresso socio-economico, non è invece positivo.
La dinamica italiana è stagnante, come quella europea, eccetto la Germania, che comunque rimane ancora sotto il 3%, e la Svezia, che lo supera (unico altro Paese che supera il 3% nel 2016 è l’Austria). Anche il ‘modello scandinavo’ è eterogeneo e mostra un quadro a luci e ombre: la Norvegia è ampiamente sotto il 3%, la Danimarca lo raggiunse nel 2009 per poi osservare un calo, come la Finlandia, che crolla dal 3,75% del 2009 a 2,75% del 2016. Questo è emblematico di un’errata e pericolosa forma mentis europea sulle politiche: si reagisce alla crisi economica, con responsabilità anche di Paesi nordici storicamente vocati a investimenti in ricerca, tagliando la R&S pubblica. Si spera di creare crescita e progresso tagliando la sua linfa principale. Veramente difficile da commentare e capire.
Tutto questo può essere alla base della bassa crescita post crisi 2009 e delle tendenze più di lungo periodo sulla produttività del lavoro, che vedono l’Italia in calo costante, al pari però di Francia e Regno Unito tra i grandi paesi.
L’economia circolare e l’innovazione ambientale potrebbero quindi essere uno dei motori di cambiamento del sistema economico, verso una transizione verde. Nella ricomposizione settoriale e dei vantaggi competitivi dell’economia italiana verso la green economy, sembra che le componenti settoriali e innovative legate all’economia circolare abbiano performance superiori alla media del sistema nel suo insieme. La prevista espansione delle filiere di economia circolari può quindi aumentare la sostenibilità economica e ambientale del sistema Italia. Espansione che deve essere comunque supportata da (i) investimenti in R&S e formazione, (ii) ben disegnate politiche ambientali.
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