Eventi meteo estremi e crisi climatica, tre errori da non commettere per una buona comunicazione
Quando si comunicano notizie legate al cambiamento climatico la correttezza delle fonti, la trasparenza e l’autenticità possono davvero fare la differenza nel dibattito pubblico
Gli eventi meteorologici estremi, come ondate di caldo, forti piogge, tempeste e siccità, stanno diventando sempre più frequenti e più forti in molte parti del mondo.
Nei giorni scorsi il ciclone Ciaran ha avuto pesanti conseguenze anche sull’Italia, dove si sono verificati nubifragi e allagamenti. Il bilancio più drammatico è quello registrato in Toscana, con addirittura 8 vittime.
Secondo diversi esponenti della comunità scientifica negli ultimi duemila anni, cioè da quando la civiltà umana si è sviluppata fino all’attualità, non c’è mai stato un cambiamento climatico così rapido come quello che stiamo vivendo.
A seguito di un evento estremo con gravi conseguenze, le sue cause suscitano sempre un grande interesse pubblico. La domanda più frequente è: “Questo evento è stato causato dal cambiamento climatico?”
Costituita nel 2015, la collaborazione accademica World weather attribution (Wwa) ha condotto più di 50 studi scientifici sull’attribuzione di eventi estremi, il metodo per comprendere come i cambiamenti climatici influenzino l’intensità e la probabilità che si verifichino eventi meteorologici estremi.
Sulla base dei risultati delle ricerche gli scienziati espongono quali sono le affermazioni riguardanti alcune condizioni meteorologiche estreme che possono essere riportate in modo affidabile, anche laddove non sia stato condotto alcuno studio scientifico specifico.
La guida Reporting estreme weather and climate change, pubblicata nel 2022 dalla Wwa e redatta da Ben Clarke (Università di Oxford) e Friederike Otto (Imperial College London), ha infatti lo scopo di aiutare i giornalisti ad orientarsi sulla questione e a riferire con precisione gli eventi meteorologici estremi.
Il tema della comunicazione responsabile è da sempre fondamentale per Cospe. Quando si comunicano notizie legate al cambiamento climatico la correttezza delle fonti, la trasparenza e l’autenticità possono davvero fare la differenza nel dibattito pubblico, e accrescere la consapevolezza e la responsabilità di istituzioni e cittadini nel comune tentativo di cambiamento dei comportamenti quotidiani, in direzione della auspicata transizione ecologica.
In Italia invece il negazionismo climatico è ampiamente diffuso anche su piattaforme, canali e trasmissioni che vengono considerati in qualche modo autorevoli. Il risultato è che il pubblico riceve messaggi contraddittori che instillano il dubbio sulla scienza del clima e creano confusione, alimentando ulteriormente la prospettiva negazionista.
Gli autori della guida individuano tre errori comuni commessi dalle testate giornalistiche: ignorare il cambiamento climatico come causa dell’evento estremo, attribuire l’evento al cambiamento climatico senza fornire alcuna prova a sostegno di tale affermazione e attribuire un evento meteorologico estremo al cambiamento climatico come unica causa.
La guida fornisce una panoramica di base ed una lista di controllo per ogni tipo di clima ed evento meteorologico estremo trattato.
Un esempio: le precipitazioni estreme sono più frequenti e più intense in gran parte del mondo a causa dei cambiamenti climatici. Conseguenza di forti piogge, in alcune località le inondazioni stanno quindi diventando un fenomeno ordinario. Ma dare la colpa ai soli cambiamenti climatici ci allontana dalle nostre responsabilità, come “esseri umani”, sul territorio. Le inondazioni non sono infatti correlate esclusivamente all’intensità delle piogge ma entrano in gioco anche fattori antropici come la gestione delle risorse idriche e la difesa del territorio.
Clima, cemento e inazione politica: il consumo di suolo è uno dei maggiori responsabili della violenza di eventi climatici estremi. L’aumento delle aree impermeabilizzate comporta infatti una minore capacità da parte del suolo di assorbire le precipitazioni. L’azzeramento del consumo di suolo dovrebbe essere quindi il primo obiettivo da perseguire in ottica di prevenzione, ipotesi che tuttavia Regioni ed enti locali non sembrano ancora prendere seriamente in considerazione.