Fatti in Italia: quel filo solidale che unisce il Made in Italy vincente
Le realtà che scelgono di coniugare attività economica, etica e solidarietà rispondono meglio alla crisi delle aziende tradizionali. Un libro ne rivela i segreti
I fan più sfegatati della supremazia del mercato, del primato della legge di domanda e offerta, dell’utilità del contrasto d’interessi tra produttori e consumatori e dell’impossibilità di coniugare i profitti con l’etica rimarranno probabilmente delusi. Eppure c’è un’Italia che resiste alla crisi economica e produce eccellenze scommettendo su un nuovo modo di fare business. E i risultati le danno ragione.
Il nuovo approccio si concretizza in molte storie diverse, sviluppate nei più disparati settori produttivi: dalla pasta all’olio, dal pane ai divani, passando per birre, calzature e miele. Ma le accomuna lo stesso entusiasmo per il meglio della tradizione italiana e la passione di sperimentare un’economia più giusta e solidale.
A raccontare queste storie è un libro-inchiesta di recente uscita: “Fatti in Italia”, scritto da due giornalisti (Emanuele Isonio ed Elisabetta Tramonto) e pubblicato dalla Società Cooperativa Editoriale Etica. Ventiquattro capitoli per fotografare lo stato di salute delle più importanti filiere produttive tricolore. Alimentari e non. Ma anche un modo per dar voce agli eretici delle filiere produttive. Che puntualmente sono quelli che reggono meglio ai rischi della recessione.
«Nel libro – spiega uno degli autori, Emanuele Isonio – abbiamo cercato di descrivere le condizioni, spesso preoccupanti di filiere che hanno fatto la storia del Made in Italy. Ma abbiamo anche voluto dare spazio a chi sta dimostrando, con i fatti, quanto siano datate e spesso controproducenti le ricette tradizionalmente proposte dagli economisti classici. Il capitale sociale, umano e di solidarietà che c’è dietro a tante di queste storie è una grande speranza per uscire dalla crisi più forti e uniti».
Nelle Marche, ad esempio, la cooperativa La Terra e il Cielo, una delle prime aziende agricole italiane a sposare il biologico, esperienza trentennale e 110 piccoli produttori come soci, si è alleata con alcuni gruppi d’acquisto solidale per tentare una scommessa: costruire rapporti diretti tra produttori e consumatori, produrre una pasta di qualità superiore, garantendo risparmi a chi acquista e guadagni adeguati per chi coltiva. Ne è venuto fuori il progetto “Adesso Pasta”, al quale, negli anni, hanno aderito 47 Gas da tutta Italia, sviluppando un fatturato di 195mila euro e un fondo di solidarietà di quasi 4mila euro ottenuto con una percentuale minima del fatturato. «Abbiamo da subito sposato l’idea di essere coproduttori – spiega Sergio Venezia del Gaes di Villasanta (MB) -Insieme agli agricoltori e a un esperto di estimo abbiamo costruito un prezzo equo per l’acquisto del grano, anticipando una percentuale del costo della pasta prodotta per partecipare al rischio d’impresa e per contro abbiamo avuto accesso a un listino ribassato. Così ci assicuriamo pasta di alta qualità, aiutando a diffondere un sistema economico più giusto».
Scelte analoghe (con gli stessi invidiabili risultati) si contano nel mondo delle birre artigianali (che anche grazie al rapporto con i consumatori solidali sta crescendo a doppia cifra) e nel settore miele, dove l’associazione di promozione sociale Biorekk di Padova e alcuni produttori locali hanno dato vita al progetto “Apprezziamolo” per realizzare miele biologico a prezzi difficilmente immaginabili.
Ma, anche passando alle produzioni no food, il risultato non cambia. Dal legno alle mele, il Trentino, ad esempio, si conferma un esempio da seguire quando si parla di difesa e valorizzazione delle eccellenze delle produzioni Made in Italy.
Prendiamo come esempio la bosco-legno. Un settore ancora oggi decisamente sottovalutato a livello nazionale. Tanto da assistere al paradosso per cui, nonostante i boschi italiani siano raddoppiati negli ultimi 70 anni, le industrie del settore usano per l’80% legno importato. Una debacle dalla quale si salvano in pochi. Tra di essi, chi ha scelto la via della gestione sostenibile, connessa a filo doppio con la scelta di farsi certificare seguendo uno dei due standard internazionali (PEFC ed FSC). E il Trentino – ricordano gli autori del libro – è in questo senso capofila assoluto, con l’85% di boschi certificati secondo lo schema PEFC. Ma per valorizzare il legno prodotto, la certificazione da sola non basta. Occorre organizzare appuntamenti in cui gli acquirenti possano venire a contatto con i produttori e acquistare legno di alta qualità in modo semplice e diretto. Tra le best practice citate nelle pagine di “Fatti in Italia”, le aste organizzate dalla Provincia di Trento e dalla locale Camera di commercio, mutuando analoghe iniziative svolte in Germania, nelle quali viene venduto il legname di pregio attraverso un’asta unica. «In questo modo – spiega Francesco Dellagiacoma, funzionario forestale della Provincia – semplifichiamo la vita degli acquirenti, pubblicizziamo le eccellenze della produzione forestale locale e al tempo stesso assicuriamo una tutela attiva del territorio».
Il successo dell’iniziativa è tutta nei numeri. All’ultima asta è stato venduto il 95% del legno, con un rialzo medio del 25% rispetto al prezzo base, con punte del 50% nel caso del larice e del pino cembro. Completamente esauriti i lotti di abete rosso di risonanza. «Questa è un’opportunità preziosa per valorizzare adeguatamente il nostro patrimonio boschivo, creando consapevolezza rispetto ai valori in gioco – economici, sociali ed ambientali – e rispetto alla necessità di continuare ad assicurare una gestione attiva e sostenibile dei boschi e del territorio», commenta Romano Masè, dirigente generale del Dipartimento territorio, agricoltura, ambiente e foreste della Provincia di Trento. «In Trentino abbiamo più di 300mila ettari di bosco, con una massa legnoso complessiva che supera i 50 milioni di metri cubi che si accresce ogni anno di circa un milione di metri cubi. Di questi, ad oggi, ne vengono utilizzati circa 500mila che forniscono un contributo importante alla locale filiera del legno».
di Martina Valentini