Fridays For Future, cosa resta dello sciopero globale per il clima
La manifestazione ha acceso i riflettori su un campo di gioco che prima era al buio e ora ci ritroviamo a cominciare la partita: l’onda che bisogna cavalcare è quella dell’informazione, del sapere e del saper raccontare (e del mettere in pratica i principi gridati in piazza)
Obiettivo raggiunto: Fridays For Future, sulla scia della 16enne attivista svedese Greta Thunberg, ha smosso decine di migliaia di persone, soprattutto ragazze e ragazzi, che, pacificamente ma rumorosamente, si sono riversate nelle strade e nelle piazze per affermare la necessità di salvaguardare il nostro pianeta falcidiato da decenni di razzie. Ora più che mai tantissima gente sa che c’è un problema, sa che esistono alcune dinamiche cruciali per la vita sulla Terra che vanno conosciute e che l’attività dell’uomo può modificarle o pregiudicarle. I pessimi tentativi da parte di qualche benpensante attempato e senza futuro di screditare il messaggio di Greta e di Fridays For Future sono stati vani, ma saranno definitivamente rispediti al mittente solo se la manifestazione del 15 marzo avrà seguito.
Da oggi l’azione si trasferisce dunque a casa (gestendo individualmente nel modo giusto energia, rifiuti, acqua, per quanto di competenza), a scuola e all’università (studiando forte perché altrimenti ci fregano), a tavola (migliorando le abitudini alimentari) al supermercato e in qualsiasi negozio (selezionando con criterio i prodotti che acquistiamo), nelle città (prestando attenzione alla mobilità e ai trasporti e usando lo spazio di tutti nel modo migliore), nel tempo libero (il tempo è una moneta importante da gestire e spendere, usiamolo con intelligenza), in mezzo agli altri (talvolta, mica sempre eh!, scegliendo di discutere con il prossimo anche di cose serie e di esperienze come quella del 15 marzo in piazza).
La risposta alla domanda che ricorre spesso “ma io cosa posso fare?” è quindi automatica: scegli alcune tra le cose che sono state appena elencate e fanne un obiettivo. Ma che banalità!, potrebbero dire i soliti benpensanti menzionati prima. Un conto è dirlo, scriverlo o gridarlo durante un corteo, un conto è metterlo in pratica.
È proprio qui, invece, che si percepisce la vera ricchezza della manifestazione per il clima. L’onda che bisogna cavalcare è quella dell’informazione, del sapere e del saper raccontare. La madre di tutte le onde è la conoscenza, quella che solleva e trascina la consapevolezza e la sensibilità, quella che fa scoprire i problemi e poi aiuta a risolverli, quella che fa nascere le domande e poi fa emergere le risposte. Da tanto tempo si conoscono l’effetto serra naturale e la capacità dell’uomo di influenzarlo; da molto tempo sappiamo quali sono i gas serra e siamo capaci di individuarne le sorgenti di emissione; esiste una letteratura scientifica sterminata su questo argomento.
Enzo Tiezzi, tra i grandi promotori del concetto di sostenibilità in Italia, lo scrisse nel suo “Tempi Storici Tempi Biologici” del 1984. Tuttavia, dal 15 marzo 2019 grandi e piccoli hanno imparato che il problema esiste, riguarda tutti e va affrontato subito. L’elemento corale del corteo può essere la base per disseminare, espandere a macchia d’olio e rendere popolare una parte di conoscenza che fino ad ora è stata relegata in poche pagine dei libri di scuola e nelle lezioni di alcuni selezionati corsi di laurea. La manifestazione ha acceso dunque i riflettori su un campo di gioco che prima era al buio e ora ci ritroviamo a cominciare la partita. Essa, attraverso la moltitudine di colori, slogan, cartelli, persone, racconta che la questione dell’effetto serra antropogenico e dei cambiamenti climatici ha molte componenti e, prima di tutto, va conosciuta. Partendo da qui, studiando quindi il nostro avversario nella speranza di sconfiggerlo, potremmo imparare un metodo che ci permetterà in futuro di avere la meglio anche su altri problemi importanti – si pensi ad esempio alle grandi sfide lanciate dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dai Sustainable Development Goals.
È evidente che la maggior parte dei ragazzi scesi in piazza non abbia idea di cosa indichino con precisione espressioni come potenziale climalterante, radiazione infrarossa, digestione anaerobica, Ipcc, protossido di azoto, forzante radiativa, fermentazione enterica, carbon neutrality – per inciso, è altrettanto chiaro che queste cose le ignorano anche i nostri ormai famosi benpensanti, che sollevano i dubbi più disparati sugli intenti della mobilitazione.
Oggi emerge con forza la necessità che queste cose siano di dominio pubblico affinché tutti siano in grado di associarle ad ogni azione che si compie. In altre parole, la conoscenza della nostra influenza sull’ambiente e sul clima ci aiuta a capire meglio il perché della raccolta differenziata, del chilometro zero, del risparmio energetico e dell’energia rinnovabile, della dieta mediterranea e del limitare un po’ il consumo di carne rossa, dell’acqua in bottiglia, dell’obsolescenza programmata, e delle mille altre cose sulle quali siamo chiamati a prendere decisioni tutti i giorni, tante volte al giorno.
Se la gente si mobilita, non solo nelle piazze ma anche muovendosi silenziosamente con le proprie scelte quotidiane, anche il mondo politico (che affannosamente ricerca il consenso) e il mondo economico (che febbrilmente insegue i profitti) se ne accorgono e alcune rivoluzioni virtuose possono avvenire, a partire dal progressivo affrancarsi dai combustibili fossili fino alla transizione all’elettrico da fonti rinnovabili e ai limiti nell’uso della plastica. Se aspettiamo che i politici, pochi o tanti che siano, si muovano per primi, il processo di cambiamento potrebbe essere pericolosamente troppo lento. Senza contare che l’azione politica, anche quella buona, è spesso accolta freddamente dal popolo se non sbeffeggiata.
Insomma, il sistema si deve spostare tutto insieme in modo che il cambiamento sia efficace, ma allo stesso tempo giusto e pacifico e possibilmente conveniente, graduale e indolore. In caso contrario, sarà la stessa natura a imporci il cambiamento, e ciò potrebbe non essere piacevole. Come dice Papa Francesco, “Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la Terra mai!”.
Ma tutto questo non è gratis. La natura, usando l’energia solare, raccoglie una ad una particelle disordinate e genera nel tempo opere meravigliose, cellule, foglie, organismi viventi, popolazioni, interi ecosistemi. Analogamente, centinaia di ragazzi di Fridays For Future hanno speso molto del loro tempo e della loro energia per ideare, organizzare e gestire i cortei in tante città del mondo, facendo un lavoro oscuro e invisibile, nei giorni e nelle notti precedenti la manifestazione, ma contribuendo al grande successo dell’iniziativa. Una vera faticaccia! Allo stesso modo per raggiungere l’obiettivo della conoscenza bisogna sforzarsi e non limitarsi all’informazione di un giorno solo. Chi ha a cuore le sorti del pianeta, soprattutto i ragazzi che lottano per il loro futuro, studi a fondo e sviluppi le sue conoscenze metabolizzando le informazioni affinché si sedimentino e diventino i valori culturali di una società più responsabile di quella attuale.
Il seme gettato il 15 marzo va dunque fatto sbocciare. Ci vorrà un po’ di tempo, energia e buona volontà da parte di tutti. Ma se ciò non accadesse, lo sforzo non sarebbe servito a nulla. Conviene veramente a tutti, anche ai benpensanti, che la mobilitazione per il clima e per il nostro futuro non si fermi al 15 marzo 2019. D’altra parte, come disse Sven Erik Jørgensen, professore di chimica ambientale dell’Università di Copenhagen, durante un seminario a Siena sulla salvaguardia del pianeta: “Là fuori ci sono milioni di posti di lavoro perché ci sono milioni di cose da fare”.