Giubileo contro enciclica: le contraddizioni del pontificato Bergoglio
La "Laudato sì" sull’ambiente rappresenta una poderosa sfida, ma troppo avanzata e coraggiosa persino per chi l’ha scritta
Il pontificato di Jorge Bergoglio sta sotto il segno del rinnovamento: radicale su alcuni temi, molto più cauto su altri. E comunque lo stile e l’approccio al governo della Chiesa e all’azione pastorale è completamente diverso da quello ingessato di Ratzinger.
Come già fu Giovanni XXIII, egli costituisce una risorsa imprescindibile per una Chiesa che sperimenta da anni una gravissima crisi nel suo rapporto col mondo e al tempo stesso una specie di corpo estraneo per una parte consistente della Chiesa stessa, a partire dalla Curia romana e dall’episcopato italiano.
L’enciclica Laudato sì sull’ambiente è un documento solenne e di grande peso istituzionale e al tempo stesso è una poderosa sfida lanciata ai cristiani, ai poteri mondiali e allo stesso mondo ambientalista. Si tratta di un testo che ribadisce con forza molti elementi già presenti da tempo nella dottrina sociale della Chiesa, ma li rilancia e li rafforza con la propria autorevolezza; si tratta soprattutto di un testo che chiama a una mobilitazione audace contro i nostri stessi stili di vita, contro l’abitudine di pensare come distinti l’immiserimento dell’ambiente naturale e quello degli esseri umani. In più punti dell’enciclica Bergoglio e coloro che hanno collaborato alla sua stesura lanciano addirittura un monito all’ambientalismo stesso, perché non sia troppo timido, consolatorio e unilaterale.
Per chi ha visto nella Chiesa decenni di esitazioni, di ritardi, di prese di posizione troppo timide ed episodiche sulla questione ambientale, l’enciclica è una lettura toccante e impegnativa, che conferma e allo stesso tempo mette in questione, invita ad andare oltre: a impegnarsi di più, a complessificare la propria visione.
Un bilancio della ricezione di questo testo è ancora prematura, ma va detto che almeno in Italia esso ha dato il destro più che altro ad operazioni di greenwashing. Sono sicuramente comparsi diversi commenti acuti e partecipi ma gran parte delle iniziative pubbliche sono state purtroppo organizzate da soggetti ingessati oppure molto poco in consonanza con lo spirito e la lettera dell’enciclica medesima: occasioni per farsi belli a poco prezzo, insomma.
Va aggiunto però che il pontefice e la curia hanno messo del loro per svilire l’impatto e il potenziale del cambiamento dell’enciclica, per quanto in modo involontario. La credibilità di questo grido di dolore e di questa invocazione al cambiamento è stata infatti fortemente intaccata dalla scelta di indire un Anno santo e di dare una netta torsione ai rapporti tra Vaticano e città di Roma in funzione del grande evento.
Non poteva sfuggire né agli ambienti della Curia ma neanche a Bergoglio che un Anno santo non è soltanto un grande evento spirituale ma che esso è anche – e in misura non certo minore – un “grande evento”, con tutte le sue pesanti implicazioni mondane: un gravame ambientalmente pesante per una città già martoriata come Roma che non riesce a recuperare una sua normalità di funzionamento, giri di affari colossali e – considerando il contesto – prevedibilmente in gran parte poco puliti, il rischio altissimo e quasi certo di scandali finanziari e gestionali, una grave restrizione della democrazia e dell’ordinarietà amministrativa in nome dell’onnipresente “emergenza”.
L’incredibile defenestrazione di Ignazio Marino – magistralmente analizzata da Alberto Asor Rosa e appoggiata e pretesa a gran voce dalla stampa e dalle gerarchie vaticane – sta in gran parte dentro la necessità di garantire questa gestione emergenziale del “grande evento”.
È una storia, questa, molto grave e preoccupante dal punto di vista politico-istituzionale ma soprattutto estremamente triste: perché mostra come il messaggio di Laudato sì sia troppo avanzato e coraggioso persino per chi lo ha scritto e se ne è assunto la responsabilità davanti al mondo.
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