Il commercio di acqua scarsa in un mondo globalizzato
Quasi il 40% dell’acqua virtuale associata al cibo commerciata a livello globale è trasferita da un paese con una scarsità fisica ed economica di acqua maggiore di quella del paese di destinazione
Il concetto di water footprint indica letteralmente l’impronta dell’uomo sulle risorse idriche: rappresenta la quantità di acqua utilizzata per la produzione di una unità di un bene in un determinato momento e luogo.
Nei nostri lavori ci concentriamo sulla water footprint dei prodotti agroalimentari. Per esempio, nel 2016 la water footprint di un chilogrammo di grano in Italia è pari a 922 litri, mentre quella di un chilogrammo di carne di maiale è di quasi 4000 litri.
La water footprint viene anche detta acqua virtuale: sommando l’acqua virtuale corrispondente ad ogni bene alimentare prodotto, esportato e importato da un paese si ottiene la quantità totale d’acqua coinvolta nella produzione, esportazione e importazione del paese considerato.
Esportazione e importazione andranno poi a contribuire al cosiddetto virtual water trade, ovvero il commercio di acqua virtuale. Merita osservare che la quota di tale commercio legata ai prodotti agroalimentari costituisce circa il 90% di tutta l’acqua virtuale scambiata tra le nazioni per uso umano.
Alcune nazioni possono sembrare virtuose perché hanno una bassa water footprint del cibo da loro prodotto, per ragioni climatiche o legate a tecniche agricole. Tuttavia se tali nazioni importano molti prodotti alimentari dall’estero, esse stanno in realtà consumando l’acqua di altri paesi e, in tal caso, il loro status di “nazione virtuosa” può apparire sotto una luce diversa.
L’introduzione della metrica dell’acqua virtuale consente quindi di costruire un’ulteriore mappa per capire il mondo, da affiancare al modo più tradizionalmente usato dagli economisti di pensare al commercio basato sul valore monetario delle merci. Si noti che il quadro delineato dal commercio mondiale di acqua virtuale è complesso, poiché le risorse idriche hanno un diverso livello di scarsità nei vari paesi; quindi, a parità di volume d’acqua esportato, ogni paese in realtà sopporta un peso diverso nel cedere la propria acqua virtuale attraverso il commercio, e per ognuno il virtual water trade avrà un impatto ambientale differente a seconda della propria disponibilità di acqua.
Gli idrologi misurano la scarsità fisica di acqua, tuttavia la risorsa idrica va anche gestita e governata. In molte situazioni vi è abbondanza di acqua, ma vi è grande difficoltà nel suo uso per le attività umane a causa di carenza di infrastrutture o di ostacoli economici e sociali, come, per esempio, in Congo DR o in Cambogia. Ne consegue che occorre annoverare anche la cosiddetta “scarsità economica” di acqua, la cui quantificazione non è però semplice.
A questo fine, in uno studio condotto a livello globale e su diversi prodotti, abbiamo recentemente evidenziato un’associazione positiva e statisticamente significativa fra livelli avanzati di gestione delle risorse idriche e resa agricola e, simmetricamente, abbiamo osservato che a livelli migliori di management dell’acqua corrisponde una waterf ootprint unitaria minore.
In un lavoro successivo, abbiamo proposto un nuovo indice composito che compendia entrambe le scarsità (fisica ed economica) per ogni paese del mondo. Per esempio il Congo DR ha un alto indice di scarsità composita, dovuta principalmente a una forte scarsità economica causata dalla mancanza di infrastrutture e di istituzioni per gestire l’acqua, nonostante le risorse idriche siano abbondanti. Ad esempio per Israele accade il contrario.
Una volta introdotta la nuova metrica di scarsità composita, nel nostro lavoro pesiamo con tale indice tutti i flussi di acqua virtuale associati alle coltivazioni primarie in tutto il mondo in un anno. In questo modo i flussi di acqua virtuale possono essere letti come “flussi di acqua scarsa” andando così a comporre il commercio mondiale di acqua pesata secondo le scarsità del paese esportatore. I tre maggiori singoli flussi di acqua scarsa vanno dal Brasile alla Cina (6% del totale mondiale), dall’Indonesia all’India e dagli Stati Uniti alla Cina.
Un aspetto notevole è che quasi il 40% dell’acqua virtuale associata al cibo è trasferita da un paese con una scarsità fisica ed economica di acqua maggiore di quella del paese di destinazione, costituendo così flussi di iniqui dal punto di vista ambientale.
Questa differenza si sovrappone spesso a una differenza di benessere economico tra i paesi tra i quali l’acqua viene virtualmente trasferita, con grandi flussi di acqua virtuale che avvengono da paesi a reddito minore a paesi con reddito maggiore. Si delineano quindi scenari di vero e proprio sfruttamento ambientale ed economico allo stesso tempo.
A conferma di ciò, i maggiori importatori netti di acqua scarsa per capita (per i quali le importazioni sono maggiori delle esportazioni) sono in gran parte paesi ad alto reddito, con Olanda, Belgio e Singapore in cima a questa classifica. In tale gruppo, l’Olanda è il paese per cui la differenza fra acqua virtuale non pesata e acqua virtuale pesata per l’indice di scarsità composita è maggiore.
Al contrario, i maggiori esportatori netti di acqua scarsa per capita sono in gran parte paesi a reddito da basso a medio, quali la Costa d’Avorio oil Brasile. Turkmenistan, Honduras e Liberia hanno la differenza maggiore fra l’export netto pesato equello non pesato; pertanto sono i paesi per i quali ricaviamo più informazione dall’applicazione del nostro indice.
Ancora più interessante è il fatto che applicando il nostro indice, diversi paesi cambiano status. Ad esempio, Francia e Croazia sono esportatori netti dal punto di vista dell’acqua virtuale non pesata, mentre divengono importatori netti se si applica il peso della scarsità fisica ed economica. Ne consegue che l’impatto che essi arrecano ad altri paesi sottraendone acqua preziosa è maggiore di quello arrecato a sé stessi privandosi di acqua scarsa a beneficio dell’export di cibo. Invece per Pakistan e Congo avviene esattamente il contrario. Emerge anche molto sfruttamento reciproco di acqua scarsa fra paesi con difficoltà simili a livello sia economico che ambientale.
Se ci focalizziamo sull’Africa, i cui paesi sono generalmente più svantaggiati da un punto di vista economico e di sicurezza alimentare, notiamo che circa la metà dei paesi del continente è un netto importatore di acqua virtuale, e lo è per ragioni principalmente legate alla propria scarsità economica di acqua(con l’eccezione del Nord Africa che soffre prevalentemente di scarsità fisica di acqua). Inoltre, molti paesi africani (come il Mali o la Tanzania) risultano importatori netti dal punto di vista della scarsità fisica di acqua, ma diventano esportatori netti se si considera anche la scarsità economica.
Il quadro complessivo che emerge quando si guarda al commercio mondiale di acqua virtuale pesata con le scarsità (fisica ed economica) è l’esistenza di marcate disparità e iniquità. A fronte di un commercio globale di cibo che è da attendersi sempre più intenso (e della conseguente crescente globalizzazione dell’acqua), i nostri risultati suggeriscono quindi che sarebbero quanto mai opportune politiche di compensazione da parte dei paesi con meno scarsità verso quelli con maggiore scarsità idrica e una maggiore cooperazione internazionale nel settore della governance e gestione dell’acqua.
Progetto CWASI (Coping with water scarcity in a globalized word) coordinato da Francesco Laio, DIATI, Politecnico di Torino, https://www.watertofood.org/
Vallino E., Ridolfi L. Laio F. (2021) Trade of economically and physically scarce virtual water. PREPRINT (Version 1) available at Research Square. [https://doi.org/10.21203/rs.3.rs-646879/v1].
Vallino, E., Ridolfi, L., Laio, F. (2020). Measuring economic water scarcity in agriculture: a cross-country empirical investigation. Environmental Science & Policy, 114, 73-85.