Il fotovoltaico oltre i dazi e la sfida tecnologica dell’Europa (e dell’Italia)

Passati cinque anni dall’introduzione dei balzelli se ne riconosce il fallimento, e il nostro Paese è rimasto un importatore netto di pannelli solari: dar vita a una filiera nazionale è ancora possibile, ma occorre aprirsi al fronte dell’avanzamento tecnologico

Dopo più di cinque anni dalla loro introduzione i dazi sui pannelli fotovoltaici importati dalla Cina tornano a rianimare in Europa il dibattito sullo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Contrariamente alle attese, a suo tempo espresse,  sembra infatti che essi – forse anche perché spesso aggirati – non siano serviti a far decollare la produzione europea di celle e moduli solari, mentre le installazioni di questi ultimi, anche con il venir meno degli incentivi che ne hanno sostenuto la diffusione, hanno subìto un po’ ovunque una drastica riduzione. Il timore, in sostanza, è che proseguendo le attuali tendenze la transizione energetica dalle fonti fossili a quelle rinnovabili subisca un arresto se non addirittura un arretramento.

Dal chiedere a gran voce l’introduzione dei dazi si è passati dunque a reclamarne l’abolizione immediata, come fa sapere l’associazione dei produttori europei di energia solare (Solar Power Europe), seguita da ben 37 associazioni delle rinnovabili e del solare, 400 compagnie europee, 5 organizzazioni non governative tra cui Wwf e Greenpeace e persino 22 membri del Parlamento. In questo modo, si sostiene, si potrebbero ricreare le condizioni per un rinnovato processo di diffusione del fotovoltaico riprendendo un importante percorso di sviluppo tecnologico del settore, che dovrebbe vedere l’Europa leader nell’innovazione di sistemi e componenti per migliorare sempre più le prestazioni e l’efficienza degli impianti.

La posizione di Solar Power Europe trova ampio riscontro anche in Italia, dove i soci di Italia Solare hanno sottoscritto la richiesta di abolizione dei dazi, e sottolineato come nel nostro Paese – così come nel resto d’Europa – la sfida del fotovoltaico sia ancora aperta. Restano tuttavia i dubbi su come sia possibile contrastare la forte concorrenza cinese, tenuto conto dell’ulteriore impulso registrato dalla produzione di pannelli fotovoltaici e della straordinaria crescita del mercato asiatico, che a detta di molti operatori favorirebbe le industrie locali. In che termini dunque il fotovoltaico potrebbe fornire occasioni di rilancio per l’Europa?

Le dinamiche degli ultimi cinque anni sembrerebbero in prima battuta dar ragione allo scetticismo. L’ultimo rapporto Bloomberg sugli investimenti mondiali in sistemi per la produzione di energia da fonti rinnovabili fa infatti sapere che per il fotovoltaico il “sorpasso” dei Paesi in via di sviluppo e dell’Asia in particolare sui maggiori Paesi industrializzati non solo si è ampiamente confermato, ma anche consolidato. E tutto questo è accaduto mentre venivano abbandonati i classici meccanismi di sovvenzione e si iniziava a sperimentare (dal 2016) un nuovo sistema ad “aste”, che vede i Paesi europei tra i più attivi al fine di compensare le mancate risorse che precedentemente  provenivano dagli incentivi. Lo stallo europeo è di tutta evidenza, e le difficoltà di tenuta sul mercato non hanno risparmiato nemmeno i più forti, come dimostra il fallimento di grandi aziende tedesche leader nel settore verificatosi proprio in questo periodo.

Ma la realtà è anche un’altra. Secondo le più recenti statistiche della Associazione tedesca di ingegneria meccanica e impiantistica, la Vdma (Verband Deutscher Maschinen – und Anlagenbau, si veda qui e qui), i produttori tedeschi di componenti per il fotovoltaico attualmente stanno soprattutto beneficiando degli straordinari investimenti che si sono messi in moto nell’area asiatica. La domanda si va infatti dirigendo verso le componenti a film sottile, che rispetto alla tecnologia più diffusa (silicio cristallino) presentano enormi vantaggi sia sotto il profilo dell’efficienza energetica sia sotto quello della eco-sostenibilità. E d’altra parte, esaminando più in generale l’evoluzione della composizione dell’export di fotovoltaico della Germania per paese di destinazione, risulta che nel 2016 la quota relativa ai paesi dell’Asia orientale arriva a sfiorare il 20%, di cui quasi la metà è dovuta al contributo di Cina, Hong Kong e Taiwan, che registra un raddoppio rispetto al 2015.

Se dunque è fuori di dubbio che l’aumento della produzione di fotovoltaico in Asia e l’espansionismo della Cina siano stati una fonte di destabilizzazione per i produttori europei, è allo stesso tempo vero che i margini di sviluppo tecnologico del settore sono ancora molto ampi e che in questa direzione si va delineando una nuova fase della competizione internazionale.

Fase in cui non può sfuggire il riposizionamento della Germania, mentre non altrettanto si può dire dell’Italia. L’Italia infatti risulta essere un importatore netto di pannelli solari, e l’introduzione dei dazi su quelli provenienti dalla Cina ha semplicemente modificato l’origine prevalente dei flussi, facendo diventare la Germania il maggior fornitore di questa tecnologia.

Pertanto, mentre con una maggiore apertura del mercato l’abolizione dei dazi potrebbe consentire una ripresa nella diffusione del fotovoltaico europeo, per l’Italia nulla cambierebbe se non la scelta della tipologia di componenti da importare e del paese da cui acquistarli. A meno che non si inizi finalmente a prendere in seria considerazione l’ipotesi di dar vita a una filiera nazionale nel settore, cominciando a ragionare proprio dei  nuovi spazi che si vanno aprendo sul fronte dell’avanzamento tecnologico.

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