Il Green deal non basta per dare corpo alla transizione ecologica europea
Promuovere fiscalità e innovazione sostenibile: ecco le due grandi sfide per gli Stati Ue
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, i governi di molti paesi industrializzati hanno cercato – grazie a un ampio mix di politiche pubbliche – di conciliare crescita economica e ambiente, senza mai chiedersi veramente fino a che punto i confini ecologici dell’ecosistema terrestre possano rappresentare un limite per lo sviluppo umano.
Ed è proprio di questa tematica che si occupa il recente report: “Reflecting on green growth – Creating a resilient economy within environmental limits”, svolto congiuntamente dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) e da un gruppo di ricercatori del consorzio interuniversitario Seeds.
Se da un lato, negli ultimi cinquant’anni, il problema dei limiti fisici allo sviluppo è stato affrontato dall’accademia, da vari meeting internazionali e da un diffuso ricorso (soprattutto nei Paesi di area Ocse) a sempre più stringenti legislazioni ambientali, dall’altro lato è ormai chiaro come il modello economico preponderante dal secondo dopoguerra a oggi – basato sull’idea che la perdita di capitale naturale possa essere compensata da un aumento di tecnologia e conoscenza – non sia compatibile con le sfide del nuovo millennio.
Non stupisce, di conseguenza, che venga esercitata sempre più pressione sui governi europei per ridurre l’enfasi sulla crescita economica, al fine di concentrarsi invece su modelli di sviluppo che mirino a promuovere il benessere collettivo tramite tassi di crescita del Pil nulli o molto bassi – la cosiddetta: “decrescita felice”.
Tuttavia, per quanto l’idea di spostare l’enfasi dal produrre “di più” al produrre “meglio” possa essere affascinante, il report dell’Eea evidenzia come questo approccio presenti diverse criticità. Per prima cosa, i livelli di occupazione e le entrate fiscali sono strettamente legati alla crescita del Pil: se il Pil si contrae diventa più difficile finanziare sanità, istruzione e giustizia sociale. Bassi tassi di crescita economica renderebbero inoltre molto difficile finanziare il debito pubblico o gli investimenti necessari per realizzare una transizione ecologica. In altri termini, il fatto che la crescita del Pil sia stata dannosa per l’ambiente, non significa necessariamente che un calo del Pil sarebbe vantaggioso.
Una prima risposta a questo apparente paradosso è data dall’European green deal (Egd), ovvero un insieme di misure a favore di una crescita economica sostenibile che tenga conto di ambiente, risorse naturali e coesione sociale. Tuttavia, molti fattori rischiano di mettere a repentaglio il successo dell’Edg, primo tra tutti l’invecchiamento della popolazione europea: un fenomeno che potrebbe comportare una riduzione del capitale umano disponibile, un aumento della spesa sanitaria e pensionistica, e una conseguente riduzione delle risorse necessarie a favorire gli investimenti in innovazione e in “transizione ecologica”.
Dato questo contesto, secondo gli autori di “Reflecting on green growth”, il Green deal europeo rischia di essere uno strumento necessario ma non sufficiente, che richiede misure accessorie capaci di rendere lo sviluppo della società europea meno dipendente dalla crescita economica.
Il primo di questi strumenti aggiuntivi è la “fiscalità sostenibile”, ossia la creazione di un sistema fiscale che consenta di provvedere ai fabbisogni della società anche in presenza di una crescita economica debole o negativa. A tal fine, un ovvio punto di partenza potrebbe essere la tassazione ambientale, specie in ambito di riduzione delle emissioni inquinanti ed estrazione di risorse. Tale strategia, tuttavia, potrebbe avere un effetto limitato nel lungo periodo, in quanto, inducendo comportamenti virtuosi di carattere ambientale, è destinata a provocare una riduzione della base imponibile (favorendo, ad esempio, l’uso di fonti energetiche rinnovabili rispetto ai combustibili fossili). Diventa fondamentale, di conseguenza, complementare queste strategie con altri tipi di tassazione più stabili, e rivolte ad esempio al consumo, alla proprietà, al patrimonio e ai redditi aziendali.
Oltre a una riforma fiscale, è necessario inoltre promuovere una riforma – prima di tutto culturale – della spesa pubblica. Serve, in altri termini, interrogarsi su “come” viene speso il bilancio statale, e non solo in termini di efficienza. Un sistema economico basato su risorse limitate e che mira a ridurre la dipendenza dalla crescita economica dovrebbe infatti riorientare i processi di innovazione verso i bisogni sociali e ambientali. Questo significa canalizzare il potenziale di innovazione e imprenditorialità verso lo sviluppo sostenibile, e fornire il necessario sostegno finanziario a tutte quelle idee che abbiano un comprovato impatto sociale e ambientale.
Favorire l’innovazione sostenibile significa creare un ambiente favorevole all’imprenditorialità, facilitare i flussi di finanziamenti e conoscenza, sviluppando al contempo un quadro giuridico stimolante e adeguato.
Questo è un ruolo che i governi europei possono e devono avere, e – per concludere come il sopracitato report – è essenziale che lo abbiano.