Incarbona: «L'oceano ha rimosso circa un terzo della CO2 antropogenica emessa in atmosfera a partire dalla Rivoluzione industriale»
Il mare recluta i Coccolitoforidi contro il cambiamento climatico
Un nuovo studio mostra il ruolo guida nel controllo dell’anidride carbonica in acqua e nell’atmosfera di minuscole alghe, che vivono nello strato più superficiale degli oceani
Più o meno tutti conoscono i meccanismi che stanno alla base del riscaldamento globale, fenomeno del quale le emissioni antropiche di anidride carbonica sono il maggiore responsabile.
Questa molecola aumenta nell’atmosfera in maniera proporzionale alla presenza di un elemento che la compone, il carbonio, indispensabile alla vita del pianeta. Il carbonio infatti è il mattone principale con cui vengono costruite tutte le molecole biologiche. Anche noi umani siamo serbatoi di carbonio. E come noi lo sono tutti gli altri esseri viventi, da quelli più piccoli a quelli più grandi, terrestri o marini, animali o vegetali che siano.
Tuttavia gli organismi che effettuano la fotosintesi hanno una abilità esclusiva: riescono a catturare l’anidride carbonica dell’atmosfera e la utilizzano per produrre biomassa. Da qui l’importanza di tutto ciò che è “green”, verde, ovvero vegetale. Di fatto, quando sentiamo parlare di decarbonizzazione, pensiamo subito alle grandi foreste. Nel pensiero comune, gli alberi sono una salvezza per la salute del pianeta Terra, eppure nessuno riconoscerebbe un ruolo analogo ai Coccolitoforidi.
Con un nome che ha un non so che di scioglilingua, i Coccolitoforidi sono organismi unicellulari fotosintetici che abitano i nostri mari e che nessuno può vedere a occhio nudo. Grandi poco più di un millesimo di millimetro, al punto da rientrare nella categoria del nanoplancton.
Tanto difficili da vedere quanto inusuali nell’aspetto, per la forma di placche calcaree (coccoliti) che li circondano e creano, il più delle volte, una forma sferica.
Un articolo appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications, frutto della ricerca di un team internazionale che ha visto la partecipazione dell’Università di Palermo, ha dimostrato che questi piccoli microrganismi modulano in maniera significativa il trasferimento di carbonio dall’atmosfera all’ambiente marino. Lo possono fare sequestrando l’anidride carbonica dell’aria per la costruzione delle loro scaglie di carbonato.
Lo studio ha mostrato per la prima volta che la quantità del carbonato fissato dai campioni raccolti durante una crociera oceanografica nell’Oceano Pacifico, tra le Isole Hawaii e l’Alaska, è ben diversa da quanto previsto. Si parla di valori maggiori rispetti quelli ricavati in precedenza da osservazioni via satellite e modelli biogeochimici.
«Il risultato più rilevante è avere dimostrato che la grande dissoluzione di carbonato dei Coccolitoforidi negli strati superficiali del mare impatta l’alcalinità e quindi la capacità delle acque di tenere anidride carbonica atmosferica – spiega Alessandro Incarbona, paleontologo del Dipartimento di Scienze della terra e del mare, Università di Palermo – L’oceano ha rimosso circa un terzo della CO2 antropogenica emessa in atmosfera a partire dalla Rivoluzione industriale e rappresenta quindi uno dei più grandi serbatoi di carbonio in natura. Capire i processi che controllano lo scambio di carbonio tra oceano ed atmosfera è un elemento chiave per stabilire proiezioni accurate sugli effetti del cambiamento climatico e l’impatto che questo può avere sulla società».
Una piccola curiosità. I Coccolitoforidi alla loro morte lasciano depositare nel fondo marino i coccoliti, formando una grande quantità di sedimenti che rappresenta la componente principale dei depositi gessosi del Cretaceo. Le scogliere di Dover o le marne della Scala dei Turchi in Sicilia, la cui colorazione bianca è data anche dalla calcificazione dei coccoliti, ne sono un esempio.