Il turismo sostenibile oltre la caccia alle streghe: Airbnb può essere un alleato?

Il “Far West” degli affitti a breve termine ha visto scendere in campo diversi aspiranti sceriffi. Ma l’esorcismo collettivo rischia di essere sia futile, sia di far perdere opportunità

È curioso il destino di Airbnb. Dieci anni fa tre giovani e geniali californiani erano additati come i profeti dell’economia della condivisione, del capitalismo dal volto umano e di un turismo diverso, che ti faceva “vivere come un locale”. Oggi Airbnb è invece la multinazionale che si sovrappone alle legittime istituzioni locali nell’indirizzare lo sviluppo urbano, il “gentrificatore digitale”, il demone tentatore della rendita parassitaria, che si appropria dei centri storici e delle zone più pregiate del nostro Paese e ne espelle i residenti a reddito medio-basso.

Dieci anni fa guest e host si incontravano sorridenti in un positivo rapporto di reciproca scoperta. Oggi la narrazione è quella di residenti “sopravvissuti e soli”, prigionieri in condomini progressivamente occupati e stravolti da turisti-cavallette.

Il rapporto tra comunità locali e affitti a breve termine ricorda molto lo “strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde”. Da un alto, vi sono residenti che lamentano le conseguenze negative del troppo turismo. Dall’altro, una classe media impaurita, composta spesso dalle medesime persone, cerca una tutela dei propri risparmi ed un’integrazione dei redditi familiari proprio nelle opportunità offerte dalla crescita tumultuosa del mercato turistico.

Qualche volta, come Jekyll, si finisce per perdere il controllo della propria dualità, distruggendo quel patrimonio di bellezza su cui si è voluto costruire un maggiore benessere. Una “nemesi”, ha chiosato efficacemente Maurizio Maggiani parlando delle Cinque Terre[1].

E allora che fare? Nel molto detto e scritto in queste settimane è difficile trovare indicazioni nuove e concrete per un turismo sostenibile.

Il “Far West” degli affitti a breve termine ha visto scendere in campo diversi aspiranti sceriffi. Il governo nazionale è alla ricerca di un minimo comun denominatore, che rischia di essere di scarso impatto, in ciò rivelando la condivisibile riluttanza della ministra Santanché a cavalcare acriticamente la retorica dell’overtourism. Tra i sindaci spicca il primo cittadino di Firenze, che vuole procedere subito con una regolazione forte, sollevando dubbi di impostazione (ha senso il richiamo a Venezia?), di applicabilità e di legalità.

Anche l’osservatore più ingenuo comprende che il nuovo fervore su questi temi (che nuovi non sono) ha motivazioni legate ai posizionamenti individuali e di partito, in vista delle scadenze elettorali dei prossimi mesi e anni. Nella stessa prospettiva devono essere lette le prese di posizione di bandiera delle rappresentanze di interessi. Ecco gli albergatori che denunciano una concorrenza sleale, la quale però non impedisce loro di riempire le camere a prezzi sostenuti. Ed ecco il contrappunto dei proprietari immobiliari, che evocano addirittura lo spettro di scelte “eversive”.

Si sono sprecati i titoli ad effetto: “Airbnb vietato”, “La scure sulla rendita”, etc. Che la presenza degli affitti a breve termine nei centri storici vada regolata è fuor di dubbio. Non è mai troppo tardi. L’esorcismo collettivo di Airbnb rischia però non solo di essere futile, ma anche di farci perdere qualche opportunità.

L’ecosistema Airbnb è oggi assai diversificato e lo è in misura crescente per una consapevole strategia dell’azienda, specie nella fase post-pandemica, ma le proposte di regolazione si concentrano sulle quantità (il numero di notti, il numero di appartamenti, etc).

Si dimentica che Airbnb potrebbe e saprebbe fare molto di più sulla qualità dell’accoglienza. Lo si potrebbe, ad esempio, obbligare a realizzare coi propri clienti comportamenti verificabili di turismo responsabile, contribuendo a ridurre l’intollerabile gap tra la professionalità degli albergatori e il dilettantismo di troppi host e dei loro servizi di conciergerie.

Ad Airbnb ed ai suoi host si potrebbe richiedere un impegno (verificabile) per decongestionare le aree più critiche dei centri storici e distribuire meglio i flussi di visitatori sul territorio, accompagnando gli ospiti a visitare le periferie, i musei minori, i parchi urbani.

Ricevo una pubblicità di Airbnb con questo invito: “Scopri luoghi noti da nuovi punti di vista. Passeggia lungo strade secondarie, scopri gemme nascoste e colleziona storie emozionanti da raccontare agli amici al ritorno”. Bene: sono sinceri? Mettiamoli alla prova.

E infine non potrebbe Airbnb, a partire da alcuni primi test già in corso, aiutarci a dare concretezza ai tanti turismi politicamente corretti che ci sono stati proposti in questi anni? Si pensi solo alle velleitarie ambizioni di decine e decine di piccoli borghi italiani, che fantasticano di nomadi digitali, alberghi diffusi, viaggiatori culturali ed appassionati dell’outdoor, ma raramente sanno da che parte si comincia. E se Airbnb divenisse allora un utile alleato della causa di un turismo sostenibile?

[1]https://genova.repubblica.it/cronaca/2023/04/05/news/lo_scrittore_maggiani_le_cinque_terre_soffocate_dal_turismo_e_la_giusta_nemesi_per_le_loro_scelte_hanno_pensato_solo_ad_-394961544/