Cospe: investire in agricoltura e allevamento per garantire sicurezza alimentare

In Niger la crisi climatica è la più grave degli ultimi 20 anni

«Le persone sanno che ciò che producono consente loro di sopravvivere per 6 mesi, 9 al massimo: per i restanti tre mesi devono fare qualcosa per vivere. È per questo che attraversano i confini»

Terra di razzie da parte delle multinazionali in cerca di minerali preziosi e dei terroristi jihadisti che tentano di espandere la loro influenza, il Niger è un Paese afflitto da siccità e carestie ormai strutturali dove sembrano concentrarsi tutte le complessità dei nostri tempi: dai cambiamenti climatici, alla crisi alimentare, dallo sfruttamento della terra a quello delle persone.

Oltre ad essere uno dei paesi più poveri al mondo, è anche il più grande crocevia di migranti, che arrivano qui da tutta l’Africa sub saheliana: ago della bilancia anche per le potenze europee, che infatti da anni presidiano questo territorio cercando di controllare i flussi migratori e quelli terroristici, il Niger è adesso il più a rischio anche con la guerra in Ucraina e l’innalzamento dei costi del grano e delle materie prime.

Cospe, che lavora in Niger dai primi anni ’90, oggi è presente con progetti che mirano a contribuire alla stabilità regionale e a migliorare la gestione delle migrazioni, affrontando le cause profonde delle migrazioni irregolari, aumentandole opportunità di lavoro nell’area e promuovendo lo sviluppo locale attraverso una gestione sostenibile dell’ambiente.

Il cambiamento climatico è infatti una delle radici della crisi nell’area del Sahel. «Si tratta di una crisi di enorme portata, la più grave degli ultimi 20 anni, perché in termini di numero di persone colpite, solo in Niger oggi ci sono circa 2,5 milioni di persone che si trovano in una situazione di insicurezza alimentare; dato che, secondo le stime delle Nazioni Unite, può arrivare fino a 3,6 milioni di persone durante la stagione di magra», ci racconta Moussa Tchangari, segretario generale dell’associazione Alternative EsapceCitoyen, organizzazione di attiviste e attivisti molto combattiva e invisa all’apparato governativo e partner di Cospe.

Se prendiamo il Niger da solo, in alcune aree circa un quarto della popolazione vive una situazione di insicurezza alimentare. Anche gli indicatori di malnutrizione sono estremamente preoccupanti, soprattutto per quanto riguarda i bambini: si stima che il tasso di malnutrizione acuta sia intorno 12%, mentre la soglia di allerta che l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) fornisce è di circa il 10%.

Ciò è dovuto, da una parte, ai cambiamenti climatici, e dall’altra, alla guerra in atto in Europa con le conseguenze che ha portato a livello mondiale per le derrate alimentari e l’energia. È una catena che arriva fino a noi, che peggiora una situazione già drammatica e che spinge molte persone a lasciare il loro paese nella speranza di sopravvivere.

«La migrazione è un’importante leva di resilienza nel contesto del Niger.  Non parlo di migranti provenienti da altrove e che arrivano qui, parlo di migranti di origine nigerina perché il Niger è anche un paese di partenza per i migranti, non solo un paese di transito», continua Moussa Tchangari. «Le persone in generale sanno che ciò che producono consente loro di sopravvivere per 6 mesi, 9 al massimo: per i restanti tre mesi devono fare qualcosa per vivere. È per questo che le persone attraversano i confini».

La crisi alimentare colpisce in modo maggiore donne e bambini. Spesso non solo sono le donne ad emigrare, ma, quando sono gli uomini a farlo, sulle donne ricadono tutte le responsabilità legate alla gestione della casa e della famiglia.

Inoltre, questa situazione di crisi coincide con la crisi di sicurezza già in corso in Niger e in altri paesi del Sahel: se le crisi persistono, sempre più persone finiranno per arruolarsi in gruppi armati.

C’è dunque un legame evidente tra sicurezza alimentare e sicurezza più in generale: secondo Moussa Tchangari, infatti, «molte persone perderanno il loro bestiame perché non c’è pascolo, ma anche perché i villaggi vengono saccheggiati da individui armati».

di Cospe per greenreport.it