Molteplici i punti di contatto tra l’esperienza passata e i giorni che stiamo vivendo
La Belle époque: l’ambientalismo si mondializza
Tra espressione della cultura nazionalista e aspirazioni di carattere planetario
L’ambientalismo che prende forma tra Gran Bretagna e Stati Uniti si diffonde rapidamente grazie alla potente ondata di globalizzazione della seconda metà dell’Ottocento. Se i viaggi oceanici e le conquiste europee che si sono susseguiti a partire dal Quattrocento hanno rotto antiche barriere spaziali e politico-culturali, la rivoluzione dei trasporti ottocentesca (ferrovia, navigazione a vapore) e i cambiamenti nel campo dell’informazione (stampa quotidiana e periodica, rotative, telegrafo) unificano ulteriormente il mondo. Tra il 1830 e il 1870 il volume del commercio mondiale si quintuplica e aree sempre più remote vengono raggiunte e assoggettate alla tecnologia occidentale e all’economia capitalista. Con questi progressi e con il diffondersi dell’industrializzazione il mondo diviene persino troppo stretto: non contente dei già vasti possessi coloniali americani e asiatici, verso il 1875 le potenze europee si lanciano alla conquista dell’Africa, che occupano pressoché integralmente nel giro di venticinque anni.
La cosiddetta Belle Époque, il periodo cioè tra la fine della Grande Depressione nel 1896 e lo scoppio della Prima guerra mondiale, è di conseguenza attraversata da due spinte opposte: una al cosmopolitismo, alla collaborazione internazionale, al dialogo, sotto la spinta di un grande ottimismo tecnologico e culturale; e un’altra allo scontro, al desiderio di ciascuna nazione di prevalere, di ampliare i propri spazi territoriali e di mercato, di aumentare il proprio prestigio. Sono gli anni d’oro delle esposizioni universali e delle prime grandi conferenze mondiali e al tempo stesso della corsa al riarmo, fatta ormai mediante i micidiali ordigni messi a disposizione dalla grande industria di massa e che sono stati sperimentati nella lunga e sanguinosa Guerra civile americana, tra il 1861 e il 1865. Questi fenomeni globali esercitano un influsso determinante nel modo in cui l’ambientalismo si diffonde e si caratterizza nel quarto di secolo che precede la Grande Guerra.
Non è d’altra parte una novità assoluta. In un’opera pionieristica e di grande successo – Green Imperialism: Colonial Expansion, Tropical Island Edens and the Origins of Environmentalism, 1600-1860, uscita nel 1995 – lo storico statunitense Richard Grove ha mostrato come il contatto coi mondi esotici e il governo delle colonie ha fornito per lungo tempo agli occidentali non solo informazioni ma anche punti di vista nuovi che hanno contribuito a plasmare parte del primo ambientalismo ottocentesco. E sono state ancora le colonie, sia quelle “vecchie” che quelle nuove conquistate nella seconda metà dell’Ottocento, a fornire il campo per sperimentazioni di tutela impensabili nelle varie madripatrie. Una delle pagine più controverse quando non oscure della storia conservazione della natura è stata infatti – e a volte resta ancora, anche se in un contesto internazionale molto cambiato – la messa in opera forzosa di strumenti e di norme di tutela non soltanto ignorando aspettative e punti di vista degli abitanti locali, ma addirittura a loro danno.
E’ comunque proprio grazie alla globalizzazione che appena tre anni dopo la fondazione del primo parco nazionale del mondo, a Yellowstone nel 1872, in Italia appare la traduzione della relazione del viaggio di Doane e Langford da cui è nata l’idea di istituire la riserva. È grazie alla nuova ondata imperialista che nel 1883 viene firmato l’accordo internazionale per la protezione della foca del mare di Behring e nel 1899, alla conferenza di pace dell’Aia, viene imposto l’obbligo da parte di un paese invasore di gestire correttamente le foreste del paese avversario. È invece grazie al clima cosmopolita della Belle Époque che a Parigi nel 1895 viene firmata la convenzione internazionale per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura e cinque anni dopo viene firmata a Londra quella per la tutela della fauna africana. Sono sempre questi gli anni in cui si affermano i congressi scientifici internazionali, che dai primi anni del Novecento diverranno una cassa di risonanza decisiva per le proposte degli ambientalisti.
L’ambientalismo nasce insomma in un clima globale e proprio grazie ad esso si diffonde rapidamente cosicché una parte del mondo ambientalista finisce con l’immaginare forme di organizzazione mondiale della tutela, come nei congressi internazionali sulla protezione della natura organizzati a Parigi nel 1909 e a Berna nel 1913.
Ma come si è detto l’età dell’imperialismo e la Belle Époque sono anni in cui le forze opposte del cosmopolitismo e del nazionalismo convivono, contrapponendosi ma spesso mescolandosi, sia pure involontariamente. Avviene così questo straordinario fenomeno per cui le élite intellettuali e i dirigenti politici di gran parte dei paesi del mondo, anche fuori d’Europa, costruiscono e diffondono l’idea dell’unicità e della superiorità della propria nazione e danno forza a quest’idea con sistemi di simboli e di rituali che sono praticamente uguali dappertutto. Il nazionalismo diviene così, paradossalmente, un fenomeno tipicamente internazionale.
E l’ambientalismo della Belle Époque sarà anch’esso, in gran parte, caratterizzato dalla spinta contraddittoria tra l’essere un’espressione della cultura nazionalista e aspirazioni di carattere planetario, se non addirittura universali. È quanto vedremo nella prossima puntata.
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