La scoperta affonda le radici nei musei naturalistici, memoria storica del Mare Nostrum
La Caravella portoghese abita il Mediterraneo da sempre, anche se non lo sapevamo
Entrare a contatto con la tossina rilasciata da questa colonia di polipi (spesso confusa per una medusa) può uccidere un essere umano
Il fascino delle forme animali marine, esteticamente attraenti, spesso nasconde pericoli per altre specie o addirittura per l’uomo. Tra queste, la Caravella portoghese (Physalia physalis), un animale pleustonico, ovvero che vive galleggiando sulla superficie dell’acqua trasportato dal vento, grazie ad una parte del corpo che funge da vela colma di aria e monossido di carbonio, chiamata pneumatoforo.
Questo animale è un organismo coloniale, un insieme di piccoli individui associati tra loro, ognuno dei quali svolge una funzione diversa, da alimentare a riproduttiva, e che si trovano nella parte inferiore, immersi in acqua.
Di fatto, la Caravella portoghese spesso confusa per una medusa è, per i biologi marini, una colonia di polipi, capace di provocare gravi effetti urticanti per l’espulsione di una sorta di piccoli aghi ricchi di una tossina – un potente emolitico – che, in taluni casi, può condurre l’essere umano alla morte. I suoi tentacoli possono raggiungere una lunghezza di 30 metri e risultare pericolosi perché non facilmente visibili da chi nuota.
Circa un anno fa, nella spiaggia di Balestrate, in provincia di Palermo, è stata ritrovava una Caravella portoghese spiaggiata da poco tempo, di una lunghezza di circa 20 cm, con la sua vivace colorazione blu-violacea, ancora traslucida, e in uno stato che faceva pensare ad organismo ancora vivo. Era il primo ritrovamento documentato nel Golfo di Castellammare, sulla costa settentrionale della Sicilia.
L’arrivo della Physalia in una spiaggia ad intensa attività balneare doveva essere compreso nella sua dinamica. Così, un gruppo di ricerca del Dipartimento STeBiCeF dell’Università di Palermo, coordinato da Sabrina Lo Brutto, insieme a Vincenzo Arizza, Rosario Badalmenti, Francesco Tiralongo dell’Università di Catania e Laura Prieto dell’Istituto di scienze marine dell’Andalusia, ha condotto uno studio per comprendere la diffusione della Caravella portoghese nel Mar Mediterraneo e lungo le coste dell’Italia meridionale.
La specie, diffusa nell’Oceano Atlantico, era stata segnalata per la prima volta in Mediterraneo solo recentemente, nel 1980. Si pensava, dunque, non fosse un pericolo che potesse riguardare con frequenza le coste italiane. Tuttavia lo studio ha ricostruito la storia della presenza di Physalia nelle acque mediterranee, attraverso un’approfondita e puntuale ricerca di dati che ha riguardato i reperti storici nei musei zoologici italiani e le informazioni più recenti condivise da comuni cittadini nel web e nei social.
I risultati hanno dimostrato ciò che alcuni zoologi avevano ipotizzato. Si è compreso che la Caravella portoghese è sempre stata presente nel Mar Mediterraneo, dove, entrando dall’Atlantico, si disperde fino ad arrivare lungo le coste dell’Italia centrale e meridionale. Il reperto più antico ritrovato, conservato nel Museo di storia naturale di Firenze, risale al 1850; tuttavia non si esclude che ce ne siano di altri con una datazione precedente.
Diversi musei italiani hanno condiviso le informazioni delle collezioni, nell’ottica di valorizzare i reperti e garantire la loro “mission” scientifica. Il ruolo dei musei naturalistici è stato essenziale, nonostante ancora oggi rappresentino una fonte di informazione scientifica sottostimata e poco valorizzata: sono uno scrigno della biodiversità storica e attuale, utile alla comprensione del funzionamento degli ecosistemi naturali e di quei processi di alterazione ambientale a cui stiamo assistendo, quasi impotenti.
L’Italia ha una lunga tradizione naturalistica e museale. Prova ne è il modello di distribuzione della Physalia descritto nell’articolo The Portuguese Man-of-War has always entered the Mediterranean Sea – Strandings, sightings, and museum collections, pubblicato nella rivista scientifica Frontiers in marine science, che risulta da un’ampia bibliografia scientifica italiana, da collezioni storiche preservate nei nostri musei, e dall’interesse del comune cittadino verso le scienze e la natura.
L’articolo pone anche una questione sociale, ovvero richiama all’esigenza di una corretta e più articolata divulgazione scientifica nella società per migliorare la conoscenza dell’ambiente. In questo caso, l’elemento naturale, oggetto di studio, rappresenta un pericolo sanitario e una minaccia per tutte le attività del settore turismo.
In Italia, e in Sicilia in particolare, non si è mai pianificata una adeguata informazione nel territorio su come riconoscere la Physalia e sulla sua pericolosità. Siamo in una fase storica che ci permette di diffondere le informazioni con velocità e chiarezza. Dovremmo sfruttare gli strumenti digitali e le conoscenze della comunità degli specialisti per sensibilizzare la collettività ad una più attenta e puntuale formazione ambientale.