La nozione di scarico e i rifiuti liquidi
La nozione di “scarico” è data dall’articolo 74 del Dlgs 152 del 2006, recante “Norme in materia ambientale” che definisce come scarico “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore”in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114”.
Entrando nel merito della nozione di scarico, notiamo che il legislatore del 2006, quanto quello precedente (del 1999) si è preoccupato di escludere dal suo ambito di applicazione solamente i “rilasci di acque” di cui all’art. 114 (omologo al previgente art. 40 del Dlgs 152/99), anche se quest’ultimo, in realtà, non adotta tale terminologia, ma fa invece riferimento alla “restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonché delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi” (solo nel secondo comma dell’articolo menzionato si fa riferimento alle “risorse idriche… rilasciate a valle dello sbarramento”).
Vengono comunque riaffermati alcuni principi consolidati fin dalla legge “Merli” e cioè che la nozione di “scarico” è indipendente:
- dalla natura inquinante dell’immissione che la costituisce, dovendosi considerare tale, ad es. anche l’immissione in corpo ricettore di acqua distillata;
- dalla sottoposizione o meno del refluo a preventivo trattamento di depurazione (dalla presenza o meno del quale si potrà semmai stabilire la qualificazione dello scarico come “industriale” o “di sostanze pericolose”.
La nozione vigente (come già in passato) è strettamente ancorata al concetto di condotta, che non viene menzionato come tale ma descritto come a)un sistema stabile di collettamento b) che collega, senza soluzione di continuità, il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore [1].
Il testo vigente, muovendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità negli ultimi anni, esplicita meglio quale sia la funzione della condotta, che è quella di collegare, senza soluzione di continuità, il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore.
La nozione di “corpo ricettore” è costituita da : 1) le acque superficiali, 2) il suolo, 3) il sottosuolo e 4) la rete fognaria.
Ai sensi dell’art.185 (limiti al campo di applicazione), che è strettamente connesso alla nozione di “scarico”:
“2. Sono esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento: a) le acque di scarico;”
Dal dato testuale si evince chiaramente che la disciplina in materia di rifiuti non è applicabile agli scarichi, che sono chiaramente definiti nella lett.ff) dell’art. 74. La vigente nozione di scarico (a differenza di quanto avvenuto in passato): sembra idonea a scongiurare qualunque dissidio interpretativo giurisprudenziale in merito alla distinzione tra “scarichi” e “rifiuti liquidi”; esplicita puntualmente anche una nozione di “condotta”, che dunque non dovrà più essere ricostruita dalla giurisprudenza, in via interpretativa.
La giurisprudenza
In giurisprudenza si veda, ex multis, la Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III, n. 50629 del 7 novembre 2017 la quale afferma che:
“La disciplina delle acque è applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. Se presenta, invece, momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato, con conseguente violazione dell’art. 256, comma primo, d. Igs. n. 152 del 2006 (fattispecie relativa a sversamento dei reflui promananti da un depuratore comunale nell’area ad esso circostante e da cui “ruscellavano” invadendo e ristagnando sul fondo confinante)”.
I rapporti tra la normativa sulla tutela delle acque e quella in tema di rifiuti sono stati più volte presi in considerazione dalla giurisprudenza di questa Corte, anche sotto la vigenza di disposizioni ormai abrogate giungendo, per quel che concerne le disposizioni attualmente in vigore, a conclusioni univoche.
Con il D.Igs. n. 4 del 2008 è stato infatti delimitato in modo ancor più netto il confine tra scarichi e rifiuti, ripristinando, in sostanza, la situazione antecedente all’entrata in vigore del D.Igs. n. 152 del 2006. L’attuale disciplina esclude invero, nell’art. 185, comma 2, lett. a), l’applicabilità della normativa sui rifiuti per “le acque di scarico”, a condizione che siano disciplinate da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento. Per la nozione di scarico, l’art. 183, lettera hh) rinvia all’art. 74, comma 1, lett. ff), il quale definisce, appunto, lo scarico come “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’art. 114”.
Ne consegue che la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. In tutti gli altri casi nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 45340 del 19/10/2011, Pananti, Rv. 251335; Sez. 3, n. 22036 del 13/04/2010, Chianura, Rv. 247627; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone, Rv. 244783). Ad identiche conclusioni si è pervenuti anche con riferimento alla raccolta di liquami zootecnici in vasche (Sez. 3, n. 15652 del 16/3/2011, Nassivera, Rv. 250005; Sez. 3, n. 27071 del 20/5/2008, Cornalba e altro, Rv. 240264).
Dunque, se la condotta accertata corrisponde a quella descritta nella sentenza, non costituendo il deflusso del refluo dalle trincee drenanti uno scarico inteso come stabile sistema di collegamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo recettore, avvenendo il deflusso in questione per tracimazione diretta (dunque senza il requisito del convogliamento del liquido tramite condotta in conformità alla definizione contenuta nell’art. 74, lett. ff), d. Igs. n. 152 del 2006), non era configurabile il reato di cui all’art. 137, comma undicesimo, d. lgs. n. 152 del 2006; in ogni caso, il percorso seguito dai reflui mancherebbe comunque di continuità, considerando che, secondo la contestazione del PM, i ripetuti fenomeni di tracimazione e ristagnamento dei reflui prodotti dal depuratore si erano verificati a causa del cattivo funzionamento delle trincee drenanti; dal flusso costante del liquido proveniente dal depuratore attraverso le trincee drenanti seguiva, per quanto è dato comprendere, la tracimazione, il ristagno ed il successivo ruscellamento sui terreni adiacenti al depuratore. Si tratta, invero, di una situazione che non è possibile qualificare come “scarico”, in quanto, sebbene tale nozione non richieda la presenza di una “condotta” nel senso proprio del termine, costituita da tubazioni o altre specifiche attrezzature, vi è comunque la necessità di un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore (cfr. Sez. 3, n. 35888 del 3/10/2006, De Marco, non massimata).
È inoltre evidente che il concetto giuridico di scarico presuppone comunque che il collegamento tra insediamento e recapito finale sia stabile e predisposto proprio allo scopo di condurre i reflui dal luogo in cui vengono prodotti fino alla loro destinazione finale, senza interruzioni, ancorché determinate da casuali evenienze quali, ad esempio, la tracimazione dalle trincee drenanti, che abbiano consentito ai reflui un ulteriore percorso.
[1] Il “sistema stabile di collettamento” richiama, specificandolo meglio, il concetto di “condotta”, non esplicitato nel 1999 e sul quale era intervenuta più volte, in via interpretativa e suppletiva, la Corte di Cassazione. Vedi Sentenza Cass. pen., sez. III, 14 settembre 1999, n. 2774, Rivoli, secondo la quale “ il vero e proprio “scarico”, …deve avvenire “tramite condotta”, e cioè a mezzo di qualsiasi sistema stabile – anche se non esattamente ripetitivo e non necessariamente costituito da una tubazione – di rilascio delle acque…”. Nello stesso senso si è pronunciata Cass. Sez. 3 Sent. 01774 del 16/02/2000 , secondo la quale “La normativa di cui alla legge 11 maggio 1999 n. 152 …….non impone la presenza di una tubazione, che recapiti lo scarico, in quanto e’ sufficiente una condotta, cioe’ qualsiasi sistema con il quale si consente il passaggio o il deflusso delle acque reflue”.