Risorse della collettività vanno calibrate su conservazione qualità dell'ambiente di vita
La tutela dell’ambiente nel nuovo codice degli appalti pubblici: sostanza o apparenza?
Obiettivo importante è quello di individuare la necessità ed i contenuti delle opere, acquisti e forniture da disciplinarsi
Si sa: l’aggressione all’ambiente è conseguenza dello sviluppo economico. Per il tramite del paradigma dello “sviluppo sostenible”, l’ambiente, o meglio la “tutela dell’ambiente”, compare come un mero termine di paragone, come il deuteragonista nel dramma della tutela comparativa. E, nell’agone della comparazione, gli interessi dell’economia si scontrano con una blanda difesa d’ufficio dell’ambiente.
Già le Nazioni Unite a Stoccolma, nel lontano 1972, facevano emergere le difficoltà del conciliare [reconciling any conflict between] the needs of development and the need to protect and improve the environment, ovvero il bisogno di sviluppo con quello di proteggere e valorizzare l’ambiente. L’oggetto del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, fresco di stampa sulla Gazzetta ufficiale, riguarda opere, lavori, appalti, servizi. Attività, tutte, che fanno pensare a cantieri, strade, ponti, infrastrutture, edifici. Da un lato lo specchio riflette l’immagine di un’economia in attività. Dall’altro, la superficie diafana trapela le immagini di un ambiente ancora una volta aggredito, landscape guastati, cantieri eterni, inquinamenti d’ogni sorta. Nulla che stupisce: è l’incedere dell’economia.
Le regole dello “sviluppo sostenibile” (art. 3, § 3, del Trattato sull’Unione Europea) contemplano la crescita economica equilibrata in un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, cui affiancano la pretesa di assicurare un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Strana questa convivenza del lupo con l’agnello. Così potrebbe apparire la parola ambiente nel codice degli appalti pubblici. Il rischio è che si tratti di una petizione di principio, di un mero emblema: un marchio di qualità ecologica che non può essere attribuito per incompatibilità con l’oggetto.
L’analisi è impietosa e pregiudicata: occorre scandagliare il testo vergato dalla penna del legislatore per smentire o confermare l’ipotesi d’accusa. La parola “ambiente” compare tredici volte nel testo, cinque volte identifica il relativo Ministero. La norma “bandiera” può dirsi l’art. 4, in forza del quale: «L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica». Nulla di più sdrucciolevole ed inconsistente. Una disposizione priva di efficacia, diremmo: tamquam non esset, mancando la componente frastica.
All’art. 30, recante i “principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni”, si legge che il «principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico». Davvero qualcosa di frammischiato, giacché il prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa possono essere limitatamente derogati, allo stesso modo, se devono commisurarsi: la promozione dello sviluppo sostenibile (anche dal punto di vista energetico), le esigenze sociali e la tutela della salute con la tutela dell’ambiente, il tutto sullo stesso piano di rilievo, di scelta e di valore. Inutile soggiungere che in questo modo la tutela dell’ambiente è solo un’eventualità, una possibile scelta che, ove compatibile con le regole dell’affidamento, possa costruire i criteri selettivi o aggiudicativi del bando. L’ambiente non convive con la promozione dello sviluppo sostenibile e nemmeno con generiche “esigenze sociali”.
Alcuni validi contenuti, quanto ad un orientamento di finalità di tutela ambientale, sono nell’art. 34, recante i “criteri di sostenibilità energetica e ambientale”. Vengono in rilievo, per acquisti e forniture, la sostenibilità ambientale dei consumi e l’obiettivo di conseguire l’efficienza energetica negli usi finali. L’oggetto, purtuttavia, è limitato ed estremamente settoriale.
L’art. 95 comma 6 lett. b), tra i criteri oggettivi dell’offerta economicamente più vantaggiosa, inserisce l’eventuale «possesso di un marchio di qualità ecologica dell’Unione europea (Ecolabel UE) in relazione ai beni o servizi oggetto del contratto, in misura pari o superiore al 30 per cento del valore delle forniture o prestazioni oggetto del contratto stesso». Forse è l’unico contenuto pieno e valido dell’intero contesto normativo. Leggermente più sfumate le lett. c) e d) della medesima disposizione normativa, che fanno riferimento alla compensazione delle emissioni di gas ad effetto serra e ai consumi di energia e delle risorse naturali, alle emissioni inquinanti e ai costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all’intero ciclo di vita dell’opera, bene o servizio.
Non è sfuggita un’occasione alla penna del legislatore. Lo sforzo che vi si legge, quale minima concessione all’ambiente, è soltanto strutturale, legato alla peculiarità della materia disciplinata.
Probabilmente un obiettivo decisamente più importante è quello di individuare la necessità ed i contenuti delle opere, acquisti e forniture da disciplinarsi. Arrestare e gestire alla fonte gli sprechi e le aggressioni all’ambiente da parte di istanze economiche che, in quanto dispiegate attraverso le risorse della collettività, devono essere calibrate sulle esigenze primarie di conservazione della qualità dell’ambiente di vita.
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