Cospe rilancia per il 2022 la Campagna AMAzzonia, appuntamento al Maxxi il 7 maggio

L’Amazzonia vicino al punto di svolta, da polmone del mondo a savana tropicale

Si stima che la distruzione del 20-25% della foresta sarebbe sufficiente ad innescare questa trasformazione, e siamo già al 22%

La foresta Amazzonica, uno dei più grandi patrimoni naturali del pianeta e una delle maggiori componenti del sistema Terra, si trova oggi ad affrontare una doppia minaccia: la deforestazione e lo stress provocato dai cambiamenti climatici.

In un famoso discorso del 24 settembre 2019 alle Nazioni Unite, Bolsonaro ha affermato che la foresta pluviale è il territorio sovrano del suo paese: «È un errore dire che l’Amazzonia è patrimonio dell’umanità ed è un’idea sbagliata, confermata dagli scienziati, affermare che le nostre foreste amazzoniche sono i polmoni del mondo».

In effetti Bolsonaro non fa che aggrapparsi all’affermazione fatta da alcuni scienziati che hanno puntualizzato che non è corretto definire polmone del mondo la foresta amazzonica in quanto essa contribuisce “solo” per il 5-6% dell’ossigeno atmosferico prodotto globalmente dalla fotosintesi (marina e terrestre). Tuttavia, il vero problema non è la mancata quantità di ossigeno generato dalle foreste, ma piuttosto la catastrofe ecologica causata dall’aumento dell’anidride carbonica (CO2) atmosferica dovuto alla deforestazione.

Infatti, la foresta pluviale da sola assorbe circa il 15% della CO2 presente nell’atmosfera globale. Per dare un’idea del peso del contributo della foresta amazzonica sul budget del carbonio globale, basti pensare che la quantità di CO2 assorbita dalla foresta amazzonica equivale a metà delle emissioni antropogeniche di CO2 prodotte in Europa.

Lo scambio netto di CO2 tra l’Amazzonia e l’atmosfera è il risultato dell’equilibrio tra l’assorbimento da parte della fotosintesi (produzione primaria) e le emissioni dovute a respirazione, decomposizione dei residui vegetali nel suolo e combustione della biomassa.

Il principale motore delle emissioni di CO2 dall’Amazzonia è il cambiamento dell’uso del suolo e il degrado delle foreste. Se fino al 2007 si è stimato che la foresta amazzonica agisse ancora come assorbitore di CO2, studi più recenti ipotizzano che l’assorbimento sia in costante calo a causa della perdita di un 1/3 della biomassa rispetto agli anni ’90 dovuta a cambiamenti d’uso del territorio, siccità e mortalità degli alberi. Si teme pertanto che quello che è considerato il più importante ecosistema della terra in grado di assorbire CO2 sia a rischio di diventarne una sorgente netta.

Nel complesso si può affermare che quanto sta accadendo possa essere visto come un pericoloso circolo vizioso: la deforestazione e i cambiamenti d’uso del territorio causano un aumento delle emissioni di gas serra che sono responsabili dell’aumento della temperatura globale e il riscaldamento globale, a sua volta, è il fattore che guida un aumento delle emissioni di gas serra.

Ma il clima globale non è l’unico aspetto preoccupante: la foresta amazzonica ricopre un ruolo fondamentale anche nella regolazione del clima a scala locale-regionale. A scala locale l’evaporazione dell’umidità porta a raffreddamento ed a inumidimento degli strati bassi dell’atmosfera. A scala più ampia, la “cascata” di vapore acqueo che si propaga attraverso il bacino determina le precipitazioni opponendosi gli effetti dannosi della siccità.

Secondo gli scienziati, la foresta amazzonica si starebbe avvicinando ad un pericoloso punto di svolta (tipping point). Nello studio dei cambiamenti globali, il termine tipping point è stato utilizzato per descrivere una varietà di fenomeni a carico dei cosiddetti «tipping element», ovvero quei sottosistemi del sistema Terra che possono essere trasformati, in determinate circostanze, in uno stato qualitativamente diverso anche da piccole perturbazioni.

Il «tipping point» è il corrispondente punto critico in cui lo stato futuro del sistema è qualitativamente alterato. Si ritiene che la foresta amazzonica sia vicina al punto di svolta che la starebbe trasformando in savana tropicale. Questo avviene a causa del ruolo fondamentale della foresta pluviale nel riciclare la propria acqua per produrre una parte della pioggia della regione. Pertanto, la deforestazione, rendendo le piogge meno frequenti, porterebbe ad un prolungamento della stagione secca. Si stima che la distruzione del 20-25% della foresta sarebbe sufficiente ad innescare questa trasformazione, i cui segni, come ad esempio il progressivo prolungamento delle stagioni secche,sono già osservabili.

Purtroppo, fonti governative brasiliane lo scorso novembre hanno dichiarato che la deforestazione ha già raggiunto il 22%. La notizia è arrivata poco meno di una settimana dopo la chiusura della Cop26 a Glasgow. Alla conferenza sul clima, il Brasile ha firmato la dichiarazione di Glasgow sulle foreste e si è impegnato a frenare la “deforestazione illegale” entro il 2028. Tuttavia, tale dichiarazione non è legalmente vincolante e, poiché l’amministrazione Bolsonaro ha allentato le leggi ambientali, di fatto ha legalizzato la deforestazione.

Insomma, legale o meno che sia, il “fumo” fa male alla salute del pianeta e presto sarà tardi per dire “smetto quando voglio”.

di Michela Maione per Cospe*, greenreport.it

*Questo articolo rappresenta un estratto di un testo più ampio elaborato per Cospe da Michela Maione, docente al dipartimento di Scienze pure e applicate – Università di Urbino Carlo Bo

 

Con un appuntamento al MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo – il 7 maggio alle ore 14.00 – COSPE rilancia per il 2022 la Campagna AMAzzonia, in collaborazione con Change for Planet Firenze, Comune di Firenze (Assessorato all’Ambiente), Legambiente Lombardia, Parco Nord Milano, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e Circolo Laudato Si “Nelle Selve” di Roma.

L’evento è in concomitanza con l’esposizione della mostra “Amazônia” del fotografo brasiliano Sebastião Salgado, che regala a chi la visita una esperienza diretta dell’Amazzonia nella sua unicità. Parteciperà Adriano Karipuna, leader nativo del popolo Karipuna di Rondonia (Brasile), figura simbolo della resistenza dei popoli indigeni dell’Amazzonia, contro la deforestazione e l’assalto delle economie predatrici che minacciano l’integrità dei suoi ecosistemi e la vita delle sue comunità.