Già l’originale New Deal, quello roosveltiano, era green

L’ambientalismo prima del D-Day: tra le due guerre una lunga depressione e qualche luce

I nazisti erano davvero ambientalisti? Un viaggio nella storia tra verità e falsi miti

La Grande guerra mina – soprattutto in Europa – alcune delle condizioni che avevano reso possibile il primo slancio dell’ambientalismo.

Le difficoltà economiche e l’aspra conflittualità politica riducono anzitutto l’attenzione da parte dell’opinione pubblica e la disponibilità di spesa da parte dei governi per la difesa della natura. Dopo la grande tragedia diventa difficile curarsi di beni “inessenziali” come il paesaggio e l’ambiente. In Italia, in Germania, in Belgio i protagonisti dell’ambientalismo della Belle époque continuano le loro battaglie e ottengono qualche importante risultato – da noi, i primi parchi nazionali e la legge per le bellezze naturali – nei primi anni Venti, ma si tratta di una generazione a esaurimento: entro il 1930 scompaiono infatti molte figure chiave del movimento tra cui Hugo Conwentz, Jean Massart e Paul Sarasin mentre molte altre abbandonano la militanza.

La scomparsa di questi grandi tessitori di iniziative internazionali compromette anche la possibilità di ricostruire il clima cosmopolita dell’anteguerra. Alcuni personaggi continuano ad alimentare tenacemente il dialogo e l’azione, primo fra tutti l’olandese Pieter G. van Tienhoven, e la neonata Società delle Nazioni dedica qualche attenzione anche ai problemi ambientali globali, ma la cooperazione tra studiosi e associazioni di vari paesi si assottiglia, in qualche caso si burocratizza e diviene comunque estremamente faticosa e fragile. Una delle principali realizzazioni del periodo tra le due guerre, l’International Council for Bird Preservation (l’attuale BirdLife International), raccoglie alla fondazione, nel 1922, i rappresentanti di quattro stati soltanto e riesce a divenire effettivamente operativa solo sei anni dopo.

La debolezza del movimento protezionista internazionale e di gran parte di quelli nazionali viene ulteriormente alimentata dalla grande crisi economica che colpisce i paesi capitalisti a partire dai primi anni Trenta e si prolunga per tutto il decennio.

Oltre alle sparute iniziative internazionali, che comunque contribuiscono a porre le basi della rinascita del secondo dopoguerra, si segnalano in questi anni due casi radicalmente diversi tra loro ma entrambi molto interessanti e con qualche elemento in comune. Entrambi hanno infatti origine nel momento più grave della crisi economica, cioè negli anni 1932-33, e in entrambi gioca un ruolo cruciale l’interventismo statale che si sta affermando proprio in risposta alla crisi: si tratta delle politiche ambientali della Germania nazista da un lato e degli Stati Uniti di Franklin Delano Roosevelt dall’altro.

La Germania hitleriana si contraddistingue per l’approvazione, nel 1935, di un’organica legge nazionale (Reichsnaturschutzgesetz) che offre una disciplina generale della protezione della natura, crea una gerarchia degli organismi di tutela, regola lo sfruttamento forestale e la caccia e fissa quattro categorie di oggetti di tutela. Per l’epoca si tratta una delle leggi più avanzate al mondo, e questa circostanza alimenterà nel corso dei decenni un’intensa discussione – molto spesso strumentale – se l’ambientalismo in generale debba essere considerato intrinsecamente reazionario oppure se il nazismo fosse coerentemente ambientalista.

Gli studi più recenti, in gran parte opera di studiosi tedeschi, riportano la discussione su un piano meno ideologico e sottolineano come la fascinazione di alcuni esponenti nazisti per la protezione della natura non fosse condivisa da tutto il regime, come la legge del 1935 contenesse delle gravi e consapevoli limitazioni pensate per non intralciare attività di forte impatto ambientale, come le richieste dell’ambientalismo tedesco comprendessero altri provvedimenti che non furono mai realizzati e come, d’altro canto, l’appoggio di molte associazioni ed esponenti ambientalisti verso il nazismo non comportò che in qualche caso una piena e convinta adesione all’ideologia del regime. In genere si trattò di un’alleanza strumentale da entrambe le parti, che in ogni caso diede un esito parzialmente positivo e di notevole importanza quale fu appunto la legge del 1935.

L’importanza della vicenda tedesca va piuttosto ricercata in altri due elementi. Il primo è la persistenza e l’efficacia dell’associazionismo ambientalista, che aveva radici lontane e solide e che avrà poi un peso notevole nel fare della Germania, a partire degli anni Settanta, il paese leader dell’ambientalismo europeo. Il secondo elemento è costituito dalla dimostrazione che la promulgazione di legislazioni ambiziose, almeno negli intenti, può trovare terreno favorevole in momenti di forte intervento statale in economia, quando i veti e il peso degli interessi dei soggetti privati vengono indeboliti e contenuti.

È in parte questo anche l’insegnamento dell’altra grande vicenda degli anni Trenta, quella del New Deal rooseveltiano, anch’essa radicata comunque in una storia di protezione della natura antica e ricca di importanti realizzazioni. I molti provvedimenti di riqualificazione ambientale e di razionalizzazione nell’uso delle risorse adottati nell’ambito del New Deal erano intimamente collegati alla lotta alla disoccupazione e al miglioramento delle condizioni e dei livelli di vita delle classi medie e inferiori. Tra i provvedimenti adottati possono essere citati l’istituzione di grandi autorità di bacino come la Tennessee Valley Authority, la creazione dei Civilian Conservation Corps (un programma di lotta alla disoccupazione mediante azioni nel campo della conservazione delle risorse naturali), la regolamentazione del pascolo nelle Grandi Pianure e la promulgazione del Soil Conservation Act e il Pittman-Robertson Wildlife Restoration Act del 1937 per il restauro e la tutela della natura selvaggia. La protezione della natura e delle risorse diveniva in questo caso una componente di un ampio disegno di politica economica di carattere progressista e anticipava così il senso e la direzione di molte politiche che sarebbero state adottate in molti paesi del mondo dopo la Seconda guerra mondiale.

Lo sviluppo del movimento ambientalista nel secondo dopoguerra, anche a livello internazionale, fu influenzato inoltre da una crisi ambientale di eccezionale gravità verificatasi proprio nell’America rooseveltiana. Il Dust Bowl, cioè l’ondata di impressionanti e devastanti tempeste di sabbia che flagellarono le Grandi Pianure tra il 1931 e il 1939, stimolò infatti l’avvio di un importante dibattito pubblico sulle conseguenze ambientali dell’uso predatorio delle risorse. Questo dibattito sarebbe pienamente maturato dopo la guerra con la pubblicazione nel 1948 di due opere (Our Plundered Planet di Henry Fairfield Osborn e The Road to Survival di William Vogt) destinate a un grande successo internazionale.

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