Si tratta di piccoli crostacei, spesso confusi per insetti

Non chiamatele pulci di mare, sono Anfipodi!

Questi piccoli invertebrati possono rappresentare un valido strumento di monitoraggio dell’inquinamento da microplastiche

Il caldo della bella stagione porta molte persone a trascorre diverse ore al mare, sulla spiaggia, fino al tramonto. Chi non ama i lidi affollati ma preferisce le coste sabbiose meno antropizzate avrà sicuramente notato lungo la battigia, all’imbrunire, dove si deposita del detrito vegetale, minuscoli animali saltare, talvolta anche in modo frenetico. Piccoli salti continui, e un rintanarsi tra i granelli di sabbia, lasciando visibile l’apertura di ingresso dei canalicoli in cui si nascondono.

Normalmente si grida alle pulci, pulci di mare. Eppure pulci non sono, bensì crostacei chiamati Anfipodi (le pulci, in senso stretto, sono insetti).

I crostacei Anfipodi rappresentano un gruppo animale marino con una struttura morfologica riconducibile ad un gambero; così tanto biodiversi, abbondanti, diffusi quanto poco conosciuti dai tanti. In realtà gli anfipodi “saltatori” che incontriamo sul litorale sabbioso (beach-hoppers) ne sono soltanto una piccola parte.

L’ordine Amphipoda descrive uno dei taxa più rappresentati e diversificati nei sistemi acquatici di tutto il mondo, conta oltre 10.000 specie. Gli Anfipodi hanno colonizzato svariati ambienti: semi-terrestri, dulciacquicoli, salmastri e marini, gli hot vents delle profondità marine e le acque polari, i ruscelli montani, le grotte, le acque interstiziali delle falde acquifere e i fondali più profondi delle zone abissali.

È possibile trovarli anche sulla cute delle balene, sul carapace delle tartarughe marine, all’interno di spugne o molluschi, aggrappati a meduse o a diverse forme algali.

Inutile dire che a questa diversità di habitat corrisponde un ampio spettro di ruoli ecologico-funzionali, spesso determinanti per il buon funzionamento degli ecosistemi nei quali questi organismi sono dominanti.

Gli Anfipodi rivestono una posizione chiave all’interno delle reti trofiche essendo detritivori, erbivori, o predatori di piccoli animali, uova e larve, e rappresentando, allo stesso tempo, un’importante fonte alimentare per una varietà di animali appartenenti ai livelli trofici superiori.

Non a caso, gli Anfipodi rivestono il ruolo di descrittori ambientali e sono considerati un attendibile indicatore per le analisi della qualità delle acque marino-costiere. La presenza, o l’assenza, di alcune specie può, infatti, rivelare condizioni ambientali altrimenti complesse da interpretare.

Recentemente gli Anfipodi sono stati ampiamente utilizzati nella ricerca ecotossicologica, in studi sull’accumulo di sostanze inquinanti. Essendo organismi il cui ciclo vitale è legato al substrato, sono particolarmente vulnerabili agli inquinanti che presentano concentrazioni più alte nei sedimenti, in cui diverse molecole tossiche si accumulano più facilmente rispetto alla fase acquosa dove al contrario si diluiscono.

Un recente articolo, pubblicato sulla rivista Toxics da ricercatori delle Università di Palermo e Messina, ha dimostrato che questi piccoli invertebrati possono rappresentare un valido strumento di monitoraggio dell’inquinamento da microplastiche. Lo studio ha ricercato, in cinque specie di Anfipodi, i polimeri che le microplastiche possono disperdere nell’ambiente e che rimangono intrappolati nei sedimenti degli ambienti marino-costieri, entrando nella catena alimentare degli animali attraverso il detrito organico.

Sappiamo che l’inquinamento da plastica è una delle più rilevanti minacce dei nostri mari e va monitorato in maniera efficace. Grazie ai rapporti che questi animali contraggono con il substrato, alle caratteristiche del loro ciclo vitale abbastanza breve da permettere una colonizzazione veloce dell’ambiente, ma relativamente lungo se paragonato a quello degli organismi, l’analisi della componente ad Anfipodi può fornire informazioni complete e a lungo termine circa le condizioni globali del sistema in esame.