Oltre 90mila cittadini dicono no alla nuova area militare nel Parco di San Rossore
Piccioni: «La campagna di denuncia ha avuto una risposta straordinaria che ha costretto le istituzioni sulla difensiva. Ma si tratta di un primo successo, non certo di vittoria definitiva»
Sfruttando le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il Governo Draghi ha preso la decisione di realizzare una nuova area militare nel Parco regionale di San Rossore-Migliarino-Massaciuccoli, dove ospitare la sede del gruppo intervento speciale del 1° reggimento Carabinieri paracadutisti “Tuscania” e del Centro cinofili. Un progetto ciclopico per un’area protetta, secondo le prime informazioni filtrate dalla coltre di silenzio: circa 440mila metri cubi di nuove edificazioni a occupare una fetta di Parco pari a oltre 730mila metri quadrati, senza alcun confronto preliminare col territorio locale. Un colpo di mano da parte del Governo contro cui si sta schierando un numero crescente di associazioni ambientalisti, accademici e cittadini. Ne abbiamo parlato con Luigi Piccioni, storico delle aree protette e ricercatore all’Università della Calabria, tra i promotori della mobilitazione.
Una scelta inizialmente passata in sordina tra le istituzioni e forze politiche locali, che oggi però in larga parte hanno già preso le distanze: si può parlare già di un primo successo, grazie alla mobilitazione sia degli ambientalisti, sia dei cittadini che si sono riuniti attorno a una petizione che ha già raccolto oltre 90mila firme?
«Senza dubbio. Si sarebbe potuto temere che l’opinione pubblica, ancora impantanata nella pandemia e ora anche assorbita dall’incubo della guerra, non avrebbe prestato attenzione a una vicenda di questo tipo. Al contrario la campagna di denuncia del progetto, devastante ambientalmente, e delle sue modalità, sprezzanti di ogni procedura democratica, sembra aver toccato molti nervi scoperti e ha avuto una risposta straordinaria che ha costretto le istituzioni sulla difensiva. Ma si tratta in effetti di un primo successo, non certo di una vittoria definitiva.
Per quanto riguarda anzitutto la paventata localizzazione dell’infrastruttura all’interno del Parco regionale di Migliarino-San Rossore-Massacciuccoli non è detto che il Comando generale dei Carabinieri rinunci così facilmente, diversi livelli istituzionali – a partire dalla Regione e dal presidente dell’Ente parco – restano possibilisti e per la committenza le alternative non sono altrettanto vantaggiose. Bisogna inoltre aggiungere che quello che si sta mettendo in discussione non è solo la proposta di cementificare ed edificare 75 ettari di una delle riserve naturali più importanti d’Italia (per molti anni si è discusso se farne un Parco nazionale) ma più in generale l’idea di un ulteriore, massiccio insediamento militare nell’area pisana, idrogeologicamente delicata, ambientalmente pregiata e già pesantemente cementificata.
I favorevoli all’infrastruttura militare affermano che sorgerebbe comunque in una fetta del Parco già degradata, presso l’ex Centro radar di Coltano. Perché quell’area è così importante?
«Se realizzato il progetto non si limiterebbe a riqualificare soltanto l’area dell’ex Centro radar (5 ettari), ma occuperebbe direttamente un’area 15 volte più grande (75 ettari) e indirettamente (viabilità e altre infrastrutture) ancora altre porzioni di territorio. Oltre a questa considerazione bisogna aggiungere che quest’area è attualmente utilizzata a fini agricoli e le famiglie che ci operano da decenni non avrebbero rinnovate le concessioni. Soprattutto, essa è integralmente ricompresa entro i confini del Parco regionale, in prossimità – come ha sottolineato il Comitato scientifico del Parco, che ha comunque escluso che entro la riserva si possa costruire alcunché – del sito tutelato dalla Rete europea Natura 2000 denominato Selva Pisana, già fortemente impattato dalla presenza dell’area militare americana di Camp Darby.
Non va dimenticato, a quest’ultimo proposito, che già nel 2017 fu scoperto e reso pubblico un altro megaprogetto di potenziamento della base militare di Camp Darby, che anche in quel caso il Comune di Pisa, la Provincia di Pisa, la Regione Toscana a guida Pd e l’allora governo Gentiloni avevano cercato di tenere segreto. Anche in quel caso il progetto era stato definito come “opera destinata alla difesa nazionale” e quindi non sottoposto ad alcun controllo di conformità urbanistica nonostante fosse in contrasto con il Piano territoriale del Parco e con il Piano di gestione delle Tenute di Tombolo e Coltano. E neanche la Valutazione di incidenza, obbligatoria per il fatto che l’area interessata era all’interno di un habitat prioritario tutelato dalle direttive comunitarie 92/43/CEE (Habitat) e 147/2009 (Uccelli), impedì la realizzazione dell’opera che, tanto per citarne una, prevede l’abbattimento di circa 1.000 alberi nel cuore della riserva.
Come si vede, la Piana pisana e il Parco regionale sono considerati dai vertici militari e dalle istituzioni come beni disponibili e devastabili a piacimento, senza alcuna forma di controllo e di partecipazione popolare e senza alcun interesse per la loro importanza biologica o idrogeologica».
Come si concilia la scelta del Governo Draghi di realizzare una nuova area militare nel Parco col parallelo impegno, confermato dal ministero della Transizione ecologica, di estendere le aree protette terrestri e marine al 30% del territorio nazionale entro il 2030?
«Utilizzando il metro della logica o anche solo del buon senso, è assolutamente inconciliabile. Se poi il presidente del Consiglio e il ministro della Transizione ecologica dispongono di logiche di loro invenzione che la rende conciliabile, sarebbe molto interessante conoscerle. Il Comando generale dei Carabinieri ha tentato in qualche modo di dimostrare tale conciliabilità con un comunicato che però è apparso immediatamente come un esemplare caso di greenwashing, persino tenero nella sua ingenuità».
Tra le ipotesi alternative per la realizzazione dell’area militare sono state avanzate quella di Ospedaletto (Pisa) o del Centro militare veterinario di Grosseto. Pensa possano rappresentare una soluzione, o ci sono altre opzioni sul tavolo?
«Sulla necessità di bloccare definitivamente la cementificazione della già devastata Piana pisana ho già detto, e questo è un punto inaggirabile della mobilitazione di queste settimane. Di opzioni se ne possono inventare quante se ne vogliono, ma per il mondo ambientalista la vera soluzione è utilizzare il danaro del Pnrr – nel caso di questa area militare, si parla dell’astronomica cifra di oltre 190 milioni di euro – non per alimentare ulteriormente la macchina bellica ma per far fronte alla grande domanda di istruzione, di salute, di ambiente che viene dal Paese. Se si vuole riconvertire davvero qualcosa questa è la strada, altrimenti si continua a lastricare la strada della catastrofe».
Il testo di quest’articolo è stato redatto per “il manifesto”, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale