Perché Facebook è una miniera d’oro per la scienza
Così, per essere chiari, la questione è grossa come una balena.
L’esperimento di Facebook sugli stati emotivi, che tanto ha fatto parlare in Italia e fuori a proposito di etica e violazione della privacy, ha dato il là in modo concreto a una questione che si farà centrale nelle scienze sociali, da qui a venire: informazioni come quelle raccolte da Facebook (o da Google) o da Twitter, o da chicchessia, possono NON essere utilizzate per finalità di ricerca?
Lascerò perdere le giuste e rilevanti preoccupazioni concernenti la questione dell’uso di informazioni da parte di un privato: altre persone più titolate del sottoscritto se ne sono occupate.
Qui la questione (e la domanda fondamentale) è un’altra: come è anche solo possibile pensare che informazioni di questo tipo e con tale granularità (leggi: profilazione di un utente al millisecondo) non vengano utilizzate per finalità scientifiche?
La risposta a questa domanda, implicitamente, arriva già dall’Editorial Concern espresso da PNAS, la rivista che ha pubblicato lo studio: vengono eccepite, in esso, le ragioni dell’etica e della trasparenza. Ma lo studio viene comunque pubblicato (mica sono scemi).
Stavo aspettando da mesi quella che promette di essere un’inevitabile e benvenuta rivoluzione: Facebook, piaccia o meno, rappresenta un laboratorio di psicologia ed economia sperimentale unico. Più di 1 miliardo di utenti in tutto il mondo con la possibilità di dividere il campione per classi d’età, genere, condizione lavorativa, area geografica, etc. etc. La manna del ricercatore, insomma.
Guardo i numeri dell’esperimento pubblicato sul PNAS: 689003 utenti. In laboratorio gli scienziati sono contenti con qualche centinaio di osservazioni. E questa, signori miei, non è simulazione artificiale prodotta in laboratorio: è vita vera.
Lo studio ha mostrato che le persone sono soggette, da un punto di vista di mood, all’onda emotiva del loro network di riferimento: sostanzialmente, attraverso la manipolazione dell’algoritmo con cui Facebook alimenta il nostro News Feed, alcune persone, per una settimana, sono state esposte a post dal contenuto emotivo prevalentemente positivo e altre a post dal contenuto negativo. Altre ancora, invece (il gruppo di controllo) sono state sottoposte a post random.
Risultato: c’è un effetto contagio significativo ed evidente.
La domanda di ricerca, cari lettori di Greenreport, non è diversa da quella che ha spinto AppyMeteo a nascere. Differenza: da due mesi noi ci arrabattiamo con un migliaio di utenti che si stancheranno presto dell’app. Facebook, invece, è vivo, vegeto, prospera e prospererà proprio grazie all’engagement tipico di questo social network. E ha una bocca di fuoco un milione di volte superiore.
Ora, io mi domando e vi domando: la comunità scientifica ha di fronte a sé un campo in cui vengono coltivate pepite d’oro. Queste pepite crescono, si moltiplicano, sono di una luccicanza mai vista.
Quanto è credibile pensare che questa miniera, che può davvero produrre un cambiamento epocale (e già lo sta producendo) nell’alveo delle scienze sociali, venga abbandonata senza sfruttare neppure un filone?
Fermo restando l’assoluta necessità di affrontare, a livello politico, la questione dei dati ai tempi di Facebook e Google, per non finire nell’incubo di The Circle, non utilizzare questi dati per la ricerca scientifica non solo non sarebbe credibile. Sarebbe un abbaglio spaventoso.
Con questo articolo il team di AppyMeteo saluta i suoi lettori e si prende una pausa estiva per il mese di agosto. Torneremo più felici che mai all’alba di settembre.