Quale significato diamo alla Natura? Ecco le differenze in oltre 60 lingue nel mondo
Oggi più che mai la crisi climatica e la continua perdita di biodiversità sollevano questioni su quale sia il nostro ruolo nella natura, nell’ambiente in cui viviamo. “L’estate nera” Australiana, con catastrofici incendi per centinaia di migliaia di km2, e l’arrivo di tre epidemie da coronavirus (Sars, Mers, e Covid-19) in meno di vent’anni, sono un campanello d’allarme che chiama a riflettere (e ad agire!) su come ci relazioniamo con l’ambiente.
Mentre l’antropologia e le religioni del mondo affrontano queste questioni, nei loro termini e domini d’azione, l’ecologia non ha mai realmente chiarito, applicando i suoi metodi di analisi, quale sia la nostra funzione nella biosfera. Siamo una “specie chiave” dalla quale dipende per gran parte la salute di un ecosistema? Siamo una specie che proporziona habitat per altre specie? Sorprendentemente, conosciamo più riguardo il ruolo di altri esseri viventi animali e vegetali, nei diversi ecosistemi, che non riguardo il nostro.
Questo apparente paradosso in realtà è espressione della nostra presenza nella maggior parte della grande varietà di ecosistemi terrestri e marini del pianeta, e nella varietà di azioni e relazioni tra noi e la natura nei diversi contesti culturali ed individuali. L’uomo coltiva la terra in una varietà di forme, dalle più tradizionali alle fortemente meccanizzate; l’uomo trasforma la natura, dipinge la natura, scrive di natura, documenta la natura, venera ed immagina la natura ed ogni individuo lo fa a modo suo. Quale sia il nostro ruolo nell’ecosistema diventa quindi una domanda estremamente complessa da affrontare nelle sue dimensioni multiple, una domanda che forse aveva una risposta più semplice agli inizi della nostra storia evolutiva.
Esiste però un registro delle nostre relazioni con la natura che permette di differenziare come diverse culture hanno inteso ed intendono oggi il nostro ruolo nell’ambiente: il linguaggio. Il linguaggio è infatti il nostro mezzo per descrivere e raccontare il mondo che ci circonda, e quindi riflette la nostra prospettiva sulla natura e su quale sia il nostro ruolo in essa.
In altre parole il linguaggio gioca un ruolo essenziale nella trasmissione della cultura e nella comprensione dell’ambiente. Attraverso il linguaggio esprimiamo cosa ha valore o cosa suscita la nostra attenzione nel mondo naturale. Attraverso il linguaggio esprimiamo le sensazioni della nostra esperienza della natura, ed il tipo di conoscenza necessaria per trasformarla. Inoltre, il linguaggio come l’ambiente cambia e si adatta nel corso del tempo, registrando come cambia la nostra percezione del mondo. Dal Cantico delle Creature di San Francesco, ai racconti di terre ricche e inabitate (o abitate da “selvaggi”) che hanno legittimato colonizzazioni ed imperialismo, il linguaggio utilizzato per descrivere il mondo riflette come cambiano le nostre relazioni con l’ambiente.
Su queste basi un recente studio (qui disponibile in una versione open acces: https://bit.ly/2vK86Xp) di un gruppo di ricercatori da oltre trenta diversi paesi del mondo, coordinato da chi scrive, ha rivelato tre principali coniugazioni del concetto di “natura”, analizzando come la parola “natura” viene usata e tradotta in oltre sessanta lingue diverse, incluse alcune lingue indigene. In particolare, la parola natura assume, oppure esclude, l’uomo come parte di essa, o assume una dimensione spirituale quando è intesa come un dono, o la personificazione di un dio o di una dea o come il risultato della “Creazione”.
Oggi, nelle culture occidentali, tendiamo a riferirci alla natura come un elemento vergine, cui le attività umane costituiscono un disturbo, la violazione di un certo ordine o l’alterazione di un certo “funzionamento naturale”. In questo contesto, l’unica forma di sviluppo possibile è alterare e controllare la natura. Di conseguenza, le politiche di conservazione ambientale tendono a promuovere l’isolamento della natura dall’uomo e dalle sue attività, e l’istituzione, ad esempio, di aree protette demarcate in cui la natura è all’interno e noi restiamo fuori e possiamo (quasi) solo osservare. Oppure, quando è l’argomento economico a vincere, ecosistemi “improduttivi” possono essere sacrificati ai nostri bisogni.
Accezioni più inclusive del termine “natura” esistono in altre culture e lingue. Ad esempio la parola 里山 (Sato-yama), in Giapponese, si riferisce alla natura come al luogo in cui esistono relazioni mutualmente vantaggiose tra l’uomo e l’ambiente. Altre culture mantengono elementi spirituali nell’idea di natura come la Pachamama, o Madre Terra, dei popoli Quechua e Aymara in America Latina. Questa relazione spirituale è all’origine della grande maggioranza di iniziative che garantiscono diritti legali all’ambiente come espressione di interesse collettivo tra cui, ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti della Madre Terra.
In generale, lo studio evidenzia come diverse relazioni tra uomo e natura in diverse culture, rappresentate nel linguaggio, danno origine a diversi approcci alla gestione dell’ambiente e delle attività umane. Spesso queste relazioni o forme di conoscenza sono ignorate, considerate non compatibili con il metodo scientifico o con un set di relazioni definite come normali o consone da una qualche cultura o visione del mondo dominante, largamente accettata.
In termini di conservazione e sostenibilità, dovrebbe però far riflettere come alcune culture e forme di vivere lontane dagli standard di sviluppo “occidentali” riescono a coniugare i bisogni dell’uomo e quelli della natura. Ad esempio, quando rispettati, i territori dei popoli indigeni in America come in Australia, ospitano e mantengono una biodiversità più ricca che in molte aree protette precluse alle attività umane. Non sarà che possiamo imparare qualcosa da loro, o da altre culture o forme di vivere dimenticate nel nostro stesso paese, sulla gestione dell’ambiente? La nostra ricerca evidenzia l’importanza di rispettare, comprendere e dare voce alle molteplici prospettive per definire politiche di conservazione efficaci. Il cambiamento climatico così come la perdita di biodiversità sono fenomeni globali. Le soluzioni a questi problemi emergeranno dalla nostra conoscenza collettiva del mondo e dell’ambiente naturale.