Quanti uomini per un solo pianeta? La lezione della capacità di carico
Andamento della demografia e utilizzo delle risorse, un legame che dobbiamo capire
Il concetto di Carrying Capacity, cioè di capacità di carico o di capacità portante, è molto familiare agli ecologi ed agli studiosi della biodiversità e dei sistemi naturali, mentre sembra totalmente ignorato dai politici e dagli economisti. In sostanza, la capacità di carico è il numero di individui in una popolazione che le risorse dell’ambiente in cui vive sono capaci di sostentare.
Già nel suo saggio sulla popolazione nel 1798 (An Essay on the Principle of Population as it Affects the Future Improvement of Societies) l’economista inglese Thomas Malthus mise in guardia contro un accrescimento incontrollato della popolazione umana, sottolineando che quando una popolazione non subisce controlli (ad esempio dovuti ai condizionamenti ambientali), cresce secondo una progressione geometrica, mentre i mezzi di sostentamento (come ad esempio la disponibilità alimentare), crescono secondo una progressione aritmetica. Un valore numerico che cresce aritmeticamente cresce di una quantità costante durante ogni intervallo di tempo. Invece, l’accrescimento geometrico o esponenziale è direttamente proporzionale alla quantità accumulata. Quanto maggiore è la popolazione tanto maggiore è la velocità con cui si accresce, poiché l’aumento dell’ammontare della popolazione dipende dalla riproduzione per opera degli individui che costituiscono la popolazione stessa.
Lo stesso Charles Darwin, che aveva studiato con interesse il lavoro di Thomas Malthus, scrisse nel suo L’origine delle specie nel 1859: «Non esiste eccezione alla regola secondo la quale ogni essere organico si accresce naturalmente a una rapidità tale che, se non venisse distrutta, la Terra si coprirebbe presto della prole di una singola coppia».
L’accrescimento delle popolazioni delle specie in natura ha costituito sempre un interessantissimo oggetto della ricerca scientifica in ecologia, e gli studiosi hanno utilizzato le equazioni appropriate per proiettare l’andamento di una popolazione nel tempo. Si sono sviluppati, fin dagli anni Venti dello scorso secolo, modelli matematici che hanno fornito un quadro quantitativo per spiegare le caratteristiche della dinamica delle popolazioni in natura ed oggi si lavora con modellistiche molto avanzate.
E’ sempre stato evidente nelle analisi compiute sull’accrescimento delle popolazioni nei sistemi naturali, che, dopo una fase di crescita di tipo esponenziale, in particolare per quelle popolazioni che si trovano a colonizzare un nuovo ambiente, la popolazione si stabilizza in una sorta di equilibrio dinamico che ovviamente può fare registrare ancora situazioni inattese e quindi significative fluttuazioni, a secondo dei numerosi fattori che possono interagire con la popolazione stessa, ma alla fine la popolazione deve inevitabilmente rispondere ai condizionamenti che si riscontrano negli ambienti naturali e quindi limita naturalmente il suo numero rispetto alla capacità di carico esistente. Il tasso di accrescimento varia quindi al variare delle condizioni ambientali, della densità della popolazione e delle sue caratteristiche relative ai tassi di natalità, mortalità, dispersione ecc.
Gli studiosi delle scienze del sistema Terra e della sostenibilità globale sono quindi molto interessati a comprendere il più possibile , nella relazione tra sistemi naturali e specie umana e suoi sistemi sociali, la tematica dell’accrescimento della popolazione umana e dei suoi livelli di consumo di energia e materia, per comprendere come sia possibile garantire la nostra sopravvivenza nel futuro e, possibilmente, l’avvio di una società equa e sostenibile.
L’impatto della specie umana sui sistemi naturali è stato riassunto in una famosa equazione pubblicata nel 1971, dai grandi studiosi Paul Ehrlich, il notissimo ecologo della Stanford University e John Holdren, esperto energetico allora alla California University di Berkeley e, nella prima amministrazione Obama, capo scientifico della Casa Bianca. Secondo l’equazione di Ehrlich ed Holdren, l’impatto (I) dell’attività umana è il prodotto di tre fattori: la dimensione della popolazione (P), il suo tenore di vita (A, dall’inglese “affluence”) espresso in termini di reddito pro capite, e la tecnologia (T), che indica quanto impatto produce ogni dollaro che spendiamo. Questa nota equazione, derivata da una originale pubblicazione apparsa sulla prestigiosa rivista “Science” nel 1971 di Ehrlich ed Holdren, seguita da un ampio dibattito scientifico tra i due scienziati con l’altro noto ecologo Barry Commoner, è stata oggetto anche di due volumi di approfondimento divulgativo di Paul ed Anne Ehrlich (leggete Ehrlich P. e Holdren J., 1971, The Impact of Population Growth, Science, 171; 1212-1217, Ehrlich P.R. e Holdren J.P., 1972, One dimensional Ecology, Bullettin of Atomic Scientist 28 (5); 16, 18-27. I libri sono Ehrlich P. e Ehrlich A., 1991, Un pianeta non basta, Franco Muzzio editore e Ehrlich P. e Ehrlich A., 1992, Per salvare il pianeta, Franco Muzzio editore, edizione italiana di entrambi i volumi a mia cura).
L’equazione di Ehrlich e Holdren ci dice con chiarezza che è impossibile ridurre l’impatto umano sui sistemi naturali intervenendo semplicemente su uno solo dei tre fattori che la compongono. E’ necessario, infatti, intervenire su tutti e tre.
Oggi è diventata quindi una necessità improrogabile la costruzione di una nuova economia che consenta agli esseri umani di vivere bene nell’ambito dei chiari limiti biofisici dei sistemi naturali che ci supportano e grazie ai quali esiste la nostra economia ed il nostro benessere .
E’ indispensabile dare alle persone le capacità di essere felici, nel rispetto di certi limiti. Non siamo noi a stabilire quei limiti, ma l’ecologia e le risorse finite del pianeta. Espandere liberamente i nostri desideri materiali non è sostenibile. C’è bisogno di un autentico cambiamento.
Oggi per impostare una nuova economia è perciò fondamentale stabilire dei limiti, cioè dei tetti massimi all’utilizzo delle risorse, delle emissioni, indicando i conseguenti obiettivi di riduzione.
L’abitudine allo spreco della società consumistica sta dilapidando le risorse materiali più importanti e sottoponendo gli ecosistemi del pianeta a uno stress insostenibile. è essenziale stabilire chiari limiti in materia di ambiente e sull’utilizzo delle risorse, integrandoli nei meccanismi economici e sociali.
è necessario che l’attività economica sia molto più consapevole dei limiti ecologici del pianeta: se vogliamo un’economia sostenibile è fondamentale fissare tetti massimi per l’utilizzo delle risorse e per le emissioni prodotte, stabilendo obiettivi di riduzione al di sotto di tali valori. Gli obiettivi di stabilizzazione e i “budget delle emissioni” di gas serra sono un tipico esempio di questo tipo di azione, sebbene la loro implementazione lasci a desiderare.
Per considerare insieme il principio di uguaglianza e i limiti ecologici, potrebbe risultare molto utile il modello noto come “contrazione e convergenza”, in cui si definisce una quantità ammessa, pari per tutti, in modo che ognuno tenda ad allinearsi a un livello sostenibile. è un approccio adottato in parte per le emissioni, ma si potrebbero stabilire tetti simili anche per l’estrazione delle risorse non rinnovabili scarse, la produzione di rifiuti (in particolare rifiuti tossici o pericolosi), il consumo di acqua fossile e il tasso di sfruttamento delle risorse rinnovabili.
Si dovrebbero anche prevedere meccanismi efficaci per il raggiungimento degli obiettivi al di sotto di questi tetti. Inoltre, una volta stabiliti, i limiti dovrebbero essere integrati in un quadro economico realistico.
Rispettare i limiti ecologici è uno degli elementi portanti dell’economia ecologica. Chiaramente lo ricordano ancora i noti studiosi Robert Costanza, Gar Alperovitz, Herman Daly, Joshua Farley, Carol Franco, Tim Jackson, Ida Kubiszewski, Juliet Schor, Peter Victor nel loro capitolo “Costruire un’economia-nella-società-nella-natura sostenibile e desiderabile” nel nuovo interessantissimo State of the World 2013. E’ancora possibile la sostenibilità? del Worldwatch Institute (la cui edizione italiana pubblicata da Edizioni Ambiente a mia cura, sarà presentata il 20 settembre prossimo a Padova).
Gli studiosi ci ricordano che rispettare i limiti ecologici richiede di comprendere precisamente cosa questi limiti comportino e dove l’attuale attività economica si collochi rispetto a essi.
Una categoria chiave del limite ecologico sono le emissioni di “rifiuti pericolosi”, comprese le scorie nucleari, il particolato, sostanze chimiche tossiche, metalli pesanti, gas a effetto serra (GHG) e nutrienti in eccesso. Le star dei “rifiuti pericolosi” sono i gas a effetto serra, perché il loro accumulo eccessivo in atmosfera sta sconvolgendo il clima. Poiché la maggior parte dell’energia attualmente utilizzata per la produzione viene dai combustibili fossili, l’attività economica genera inevitabilmente flussi di gas serra nell’atmosfera.
Processi ecosistemici come la crescita delle piante, la formazione di suolo e la dissoluzione di anidride carbonica (CO2) nell’oceano possono sequestrare CO2 dall’atmosfera. Ma quando i flussi in entrata nell’atmosfera superano i flussi in uscita, gli accumuli in atmosfera aumentano. Questo rappresenta una soglia ecologica critica, e superarla comporta il rischio di un cambiamento climatico fuori controllo con conseguenze disastrose. Quindi, almeno per tutti i tipi di rifiuti il cui problema principale sono le quantità accumulate, le emissioni dovrebbero essere ridotte al di sotto della capacità di assorbimento.
Gli attuali livelli di CO2 nell’atmosfera sono ben oltre le 390 parti per milione, e sono già visibili chiaramente le evidenze del cambiamento climatico globale nei meccanismi meteorologici. Inoltre, gli oceani stanno iniziando ad acidificarsi man mano che sequestrano CO2. E l’acidificazione minaccia le numerose forme di vita oceanica che costituiscono conchiglie o scheletri derivati dal carbonio, come i molluschi, i coralli e le alghe silicee. In breve, il peso dell’evidenza suggerisce che abbiamo già superato la soglia ecologica critica per gli accumuli di gas serra in atmosfera. Questo significa che dobbiamo ridurre i flussi di più dell’80%, o aumentare il sequestro di CO2 finché i livelli in atmosfera saranno diminuiti a soglie accettabili. Se ammettiamo che tutti gli individui sono titolati a una condivisione equa della capacità di assorbimento della CO2, allora le nazioni ricche devono ridurre le loro emissioni nette del 95%, se non di più.
Un’altra categoria di limite ecologico riguarda accumuli, flussi e servizi di risorse rinnovabili. Ogni produzione economica richiede la trasformazione di materiali grezzi forniti dalla natura, incluse le risorse rinnovabili (per esempio, gli alberi). In larga parte, la società può scegliere a quale ritmo raccogliere questi materiali grezzi, per esempio, quando tagliare gli alberi. Quando i ritmi di estrazione delle risorse rinnovabili superano i ritmi della loro rigenerazione, le riserve diminuiscono. Alla fine la riserva di alberi (ovvero la foresta) non sarà più in grado di rigenerarsi.
Quindi la prima regola per le riserve di risorse rinnovabili è che i tassi di estrazione non devono superare i tassi di rigenerazione, mantenendo così riserve in grado di fornire adeguate quantità di materiali grezzi a un costo accettabile.
Ma una foresta non è solo un deposito di alberi; è un ecosistema che fornisce servizi cruciali, tra cui il supporto alla vita dei suoi abitanti. Questi servizi si riducono quando la struttura viene sfruttata o cambia la sua configurazione. Quindi un’altra regola che deve guidare l’estrazione delle risorse e la conversione dell’utilizzo del suolo è che non devono minacciare la capacità della riserva, o fondo ecosistemico, necessario a fornire servizi essenziali.
La nostra limitata comprensione della struttura e della funzione degli ecosistemi e la natura dinamica dei sistemi economici ed ecologici fanno sì che questo momento specifico possa essere difficile da determinare. Tuttavia, appare sempre più ovvio come l’estrazione di tante risorse per trainare la crescita abbia già superato di molto questo punto. I tassi dell’estrazione delle risorse devono quindi essere riportati sotto i tassi di rigenerazione per ripristinare i fondi ecosistemici a livelli desiderabili.