Revet, quando il riciclo diventa sistema industriale e manifatturiero
Revet spa è l’azienda che in Toscana raccoglie seleziona e avvia a riciclo cinque materiali delle raccolte differenziate – vetro, plastiche, alluminio, acciaio e poliaccoppiati come il Tetra Pak – e che sta cercando di posizionarsi sempre più come impresa manifatturiera, in grado di rispondere alle esigenze del mercato offrendo materiali alternativi alla materia vergine. Da qui nascono i Ri-prodotti in Toscana, marchio registrato che riunisce manufatti completamente diversi tra loro realizzati da aziende toscane che hanno creduto nella possibilità di sostituire la materia prima con materiali post consumo. E’ inoltre di poche settimane fa la nascita di Revet Recycling srl, la controllata (51% Revet, 49% Refri) che realizzerà l’impianto grazie al quale sarà possibile riciclare direttamente in sede – dopo averle lavate – le plastiche eterogenee, vero e proprio cuore della strategia di evoluzione manifatturiera di Revet”.
Con il presidente di Revet Valerio Caramassi cominciamo però dall’inizio, chiedendogli una panoramica sulla quantità e qualità dei materiali raccolti e sulle rispettive filiere di riciclo.
«Revet serve la quasi totalità della popolazione Toscana e nel 2011 sono state 140mila le tonnellate di materiali raccolti e selezionati nei nostri impianti. Di queste 140mila tonnellate – ricordo per disegnare un contesto che la Toscana nello stesso anno ha prodotto 2,5 milioni di rifiuti urbani e 8,5 milioni di rifiuti speciali – circa il 65% sono imballaggi in vetro, che una volta separati dagli altri materiali vengono inviati a La Revet Vetri di Empoli e ulteriormente trattati per essere mandati direttamente in vetreria alla Zignago, sempre a Empoli, da cui escono nuovi imballaggi ri-prodotti. La filiera di riciclo del vetro toscano dunque è cortissima e le prospettive di miglioramento sono soprattutto qualitative, con la Regione Toscana abbiamo programmato il passaggio alla raccolta monovetro in modo da tagliare alcune delle fasi della logistica e della selezione che producevano più frazione fine di vetro, che non può essere riciclata in vetreria».
Anche gli imballaggi in acciaio, alluminio e in polaiccoppiati vanno a riciclo sicuro.
«Esattamente. Per la carta contenuta nel Tetra Pak la filiera si chiude in Toscana: una volta selezionato mandiamo il Tetra Pak in provincia di Lucca, dove l’impianto Lucart è in grado di recuperare tutta la pasta di cellulosa (che è il 74%) e di avviare a riciclo i restanti materiali, il polietilene e i fogli di alluminio, trasformati in ecoallene. Anche acciaio e alluminio hanno un proprio mercato consolidato, ma in questo caso il materiale che noi raccogliamo finisce fuori regione perché in Toscana non abbiamo fonderie adatte a riciclarli».
Restano le plastiche, che è anche la frazione più critica, e che rappresenta in peso il 30% dei materiali raccolti da Revet.
«Non è esattamente così: alcune tipologie di plastica – come il pet delle comuni bottiglie di acqua minerale e l’hdpe dei flaconi – non presentano alcuna criticità, anzi: hanno un mercato che funziona pur soffrendo l’andamento schizofrenico del costo del petrolio. Il Pet che dividiamo anche per colore, e l’hdpe vengono venduti tramite le aste Corepla e siccome vengono pagati è certissimo che vengano riciclati, nel settore tessile, degli imballaggi secondari e, ora, nello stesso settore dell’imbottigliamento delle acque. La criticità invece è tutta nelle cosiddette plastiche eterogenee (flm, vaschette, shopper, retine, polistirolo, polistirene…) che in tutta Europa vanno generalmente a recupero energetico. Noi abbiamo dimostrato che non solo è possibile riciclarle meccanicamente, ma che addirittura possono costituire una valida alternativa al vergine per prodotti di alta qualità: l’esempio sono le pedaliere e altre parti degli scooter Piaggio, gli articoli per la casa realizzati dalla Utilplastic di Larciano, le persiane per case mobili fatte dalla Shelbox di Castelfiorentino, gli accessori per l’agroindustria di Capp Palst (Campi Bisenzio), gli arredi per esterni della Tlf di Arezzo: Tutti ri-prodotti in Toscana che utilizzano percentuali diverse di plasmix derivato dal riciclo meccanico delle plastiche eterogenee post consumo».
Per quali motivi è nata Revet Recycling?
«Oggi ci affidiamo ad aziende esterne per le lavorazioni industriali necessarie a trasformare il plasmix in granulo adatto allo stampaggio dei ri-prodotti. Con Revet Recycling tutte le fasi industriali saranno seguite direttamente all’interno dell’impianto che stiamo costruendo e che inizierà l’attività entro l’estate 2013. Controllare tutta la filiera ha innumerevoli vantaggi perché significa fare davvero una raccolta differenziata e poi una logistica e poi una selezione finalizzati all’effettivo riciclo , sulla base delle esigenze di Revet Recycling che a sua volta risponderà alla domanda specifica di mercato: quel blend per quel manufatto. Aver investito e investire continuamente – grazie anche alla Regione Toscana – in ricerca e sviluppo ci permette infatti di rispondere alle esigenze dei singoli clienti e perfino di ciascun prodotto, che necessita di caratteristiche chimico fisiche diverse: proprio perché il materiale di partenza è eterogeneo, il processo industriale chiamato compoundazione permette di arrivare alle miscele giuste e soltanto a quelle, per ogni singolo prodotto. Il nostro socio Refri inoltre, ci consentirà di acquisire anche un altro tipo di polimero, l’abs delle plastiche derivate dai Raee che loro raccolgono, utile ad allargare le nostre ricerche a nuovi prodotti indirizzati all’automotive».
Perché siete gli unici ad aver intrapreso la strada del riciclo meccanico finalizzato a prodotti a valore aggiunto, mentre perfino nella virtuosa Germania il plasmix va a recupero energetico?
«Perché i contesti sono diversi. Intanto il plasmix ha un potere calorifero troppo alto per essere termovalorizzato dagli inceneritori toscani, e pertanto dovrebbe essere mandato nei pochissimi impianti adatti del nord Italia, oppure all’estero. Abbiamo realizzato una carbon footprint che presenteremo prossimamente e che mette a confronto il recupero energetico e quello meccanico del nostro plasmix dimostrando la convenienza ambientale e teoricamente economica del riciclo meccanico».
Perché teoricamente?
«Non sarebbe teorica se partissimo alla pari. Invece nonostante quanto previsto dalla gerarchia europea, ancora oggi in Italia si incentiva il recupero energetico assimilando questo tipo di produzione del kilowattora a quello prodotto con le energie rinnovabili, e non si incentivano invece i prodotti che adoperano materia rinnovabile. Poco o tanto che siano questi incentivi, io dico di fare almeno a metà. E non dico di dare gli incentivi a Revet, ma di darli ai prodotti realizzati con materiale riciclato, solo così, ed esattamente come è stato fatto per le energie rinnovabili, è possibile creare un mercato per i ri-prodotti».