Alla ricerca dell’economia ecologica in Italia
Un’indagine esclusiva di greenreport sul Bel Paese con l’aiuto di Elsevier, uno dei maggiori editori scientifici al mondo
Chi oggi si occupa di economia ecologica o di economia ambientale forse non ne ha percezione, ma dovrebbe essere da tempo diventato di moda. O almeno lo sono i temi cui da anni dedica il suo lavoro. Dopo una lunga latitanza ai margini del dibattito politico e sociale l’ambiente si è infatti conquistato, finalmente, dei posti in primo piano. Anche se, generalmente, sono i posti sbagliati. È ormai facile trovare il suffisso eco- a infiocchettare qualsiasi porcheria pubblicitaria, e il registro con cui si discute di cambiamenti climatici ha molto a che vedere con quello adottato parlando del meteo con il proprio vicino, per non rimanere nel muto imbarazzo di un ascensore condominiale.
In questo c’è un lato positivo e uno negativo. Se è vero che d’ambiente almeno se ne parla, è altrettanto vero che parlarne male non è un gran vantaggio, ma è anzi una deriva che si riflette in numerosi aspetti della vita sociale. Dall’ambito quotidiano a quello dirigenziale e politico. Ponendo tutti gli interlocutori sullo stesso piano si finisce per far confusione. I ciarlatani finiscono per sovrastare gli esperti, e tra questi i primi a sparire nella mischia sono coloro che si dedicano seriamente all’economia ecologica e a quella economia ambientale (che, è bene chiarirlo subito, non sono identiche tra loro) nell’ambito della ricerca universitaria. Di loro non si sente mai parlare. Possibile che in Italia questi ricercatori non esistano? La risposta fortunatamente è sì, esistono.
Per una panoramica di questo mondo che lavora dietro le quinte greenreport si è rivolto a Elsevier, società che edita più di 2mila riviste di riferimento per le comunità scientifiche e mediche globali: l’International society for ecological economics è tra queste, con Ecological economics, la più autorevole rivista al mondo nel campo dell’economia ecologica.
Ci siamo avvalsi in esclusiva degli esperti di SciVal, il tool di Elsevier dove sono registrati i dati di tutti i contributors della rivista, per tracciare una mappa dei ricercatori italiani che hanno trovato spazio su Ecological economics negli anni. Come si è evoluta la produzione scientifica attorno all’economia ecologica e ambientale? Negli ultimi vent’anni è stato un crescendo più o meno costante fino al 2008, vero momento di picco con 18 pubblicazioni firmate da almeno un autore affiliato a un’istituzione del Bel Paese. Tra questi, l’italiano più prolifico è Massimiliano Mazzanti, economista ambientale dell’università di Ferrara e – ci permettiamo di ricordarlo con un pizzico d’orgoglio – membro storico del think tank del nostro quotidiano, Ecoquadro.
Gli ultimi anni hanno proseguito in flessione, ma con quantità di pubblicazioni comunque alta per gli standard italiani. In totale sono 109 gli articoli pubblicati dal 1993 al 2013, e l’ente di ricerca che più si è distinto per l’affiliazione degli autori è in assoluto l’università di Siena, con 20 pubblicazioni. Restringendo il campo d’analisi agli ultimi 5 anni, la palma d’oro passa invece al Biodiversity International di Maccarese (Fiumicino), mentre Mazzanti spicca sempre tra gli autori italiani.
Ma questa non vuol diventare una gara tra i ricercatori italiani che si occupano di economia ecologica o ambientale, né ha l’ambizione di rappresentare un resoconto esaustivo della loro attività. Ci auguriamo piuttosto sia l’occasione per approfondirla ulteriormente, dando a queste preziose conoscenze lo spazio che meritano nel dibattito pubblico – e politico – che si sviluppa con crescente vigore, ma non altrettante competenze, attorno alle problematiche ambientali.
Benché queste siano così urgenti anche nel nostro Paese, viene loro dedicata sovente un’attenzione superficiale. Questo, a sua volta, non può che riflettersi anche all’interno del mondo accademico. Nonostante le numerose eccellenze italiane, che in parte abbiamo ricordato, l’Italia è tredicesima al mondo per numero di autori presenti sulle pagine di Ecological economics negli ultimi cinque anni, e ha perso 4 posizioni solo negli ultimi mesi. Le sue 33 firme non le consentono più di entrare nella top ten dei paesi rappresentati nella rivista, e la Cina (nona in classifica) con i suoi 38 autori ha preso la posizione che noi occupavamo a inizio 2014. Stati simili al nostro, come la Spagna (94 autori), registrano performance tre volte migliori della nostra, mentre gli Usa sono al momento inarrivabili, in vetta a quota 317.
Se l’innovazione è al centro dei programmi del Paese per ritrovare la via di un progresso sostenibile le competenze necessarie per svilupparla vanno incrementante, e non lasciate abbandonate a sé stesse.