Saper vivere e cucinare in base alla natura
Siamo in Ecuador. Un Paese con circa 46 ecosistemi vegetali e una biodiversità tra le più grandi dei mondo. L’estrema diversificazione della produzione alimentare si riflette in una cucina varia e con peculiarità specifiche per ogni regione: sulla costa si mangia soprattutto pesce, la carne invece in tutto in Paese. La parte andina vanta tra i piatti tipici il cuy, il porcellino d’India, mentre in Amazzonia si trovano ricette con serpente e larve di scarabeo. Legumi, platano e patate sono sempre presenti come contorno. Questa enorme varietà è frutto di centinaia di anni di addomesticamento di piante e animali da parte di piccoli agricoltori.
Interessati a saperne di più sulla cucina e sulle abitudini alimentari locali abbiamo intervistato Esteban Tapia (nella foto), uno chef ecuadoriano. Dal 2009 Esteban si è unito a Slow Food nel Convivium “Amauta Kawsay, ovvero saper vivere in base alla natura: «Un modo più concreto – racconta – di lavorare sul patrimonio alimentare dell’Ecuador e di affiancare produttori agricoli e pescatori con una visione sostenibile della produzione».
“Slow food” in Ecuador è un fenomeno recente… che cosa fa?
«Il primo Convivium in Ecuador risale solo al 2008, adesso ce ne sono almeno sei. Facciamo davvero molte attività: al momento stiamo organizzando una scuola di formazione su consumo responsabile e produzione agro-ecologica. Quest’anno si è anche formata una vera e propria alleanza che mette insieme 30 cuochi, ristoranti e hotel che condividono la filosofia di Slow Food. Abbiamo inoltre partecipato a “Terra madre” e all’Expo del 2015».
Quali sono i principali prodotti che usa nella sua cucina?
«Tra le attività Slow Food c’è la cosiddetta “Arca del gusto”: un inventario di prodotti che rischiano di sparire. I cuochi di Slow Food si impegnano a usare questi ingredienti e dare loro nuova vita “culinaria”: nel mio ristorante “El Sol Abraza” utilizziamo l’amaranto nero, il mortiño o la mashua. Speriamo che alla fine di quest’anno l’Ecuador riconosca almeno altri 100 prodotti da inserire nell’Arca. Questo significherebbe che i cuochi saranno più incentivati a utilizzare questi ingredienti e il pubblico potrà così amare la ricchezza che stiamo perdendo».
Questi prodotti rari rimandano anche a una cucina d’altri tempi…
«Sì, fanno parte della memoria di questo Paese, ma sono legati anche alla mia vita personale: mi ricordano molto la cucina di mia nonna. Oltre a questo aspetto “affettivo” avverto anche un forte senso di responsabilità:decidere di consumare questi prodotti è anche un’azione sociale, politica ed economica. Queste scelte influenzano la produzione, il consumo e diffondono il concetto del buon cibo».
Perché la “gastronomia” è così importante?
«Credo che in questo mondo globalizzato sia molto importante tenere in considerazione le cose che ci identificano e allo stesso tempo ci differenziano. Dobbiamo essere consapevoli che alcuni prodotti sono legati alle identità dei popoli e altri, come il gambero ecuadoriano che ho trovato in alcuni mercati europei, sono causa di sfruttamento di persone e dell’ambiente. I consumatori devono essere sempre più responsabili e sapere cosa mangiano e da dove provengono gli alimenti. Dall’altro lato l’importanza della gastronomia risiede nell’allegria che il cibo porta: mangiare è sempre una festa, un pretesto per riunirsi e stare insieme. E questo è sempre importante, oggi, come ieri».