Scegliere (in fretta) il male minore: la lezione del Covid per affrontare la crisi climatica

Due problemi incredibilmente simili nel modo in cui dovrebbero essere affrontati stanno ottenendo risposte molto diverse, per la diversa percezione che ne abbiamo

Quanto costa allo Stato prendere misure per ridurre l’impatto sul cambiamento climatico?  E quanto fronteggiare un’emergenza legata al cambiamento climatico?

Le principali responsabilità della crisi climatica attuale, ormai semi catastrofica, sono in prevalenza da attribuire ad un modello economico lineare che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, grazie a innovazioni tecnologiche favorite dal crescente sviluppo scientifico, si è sviluppato incrementando moltissimo la produttività.

Ma lo sviluppo dell’economia lineare ha comportato una serie di conseguenze che non sono state prese in considerazione, come l’impatto ambientale e il limite per un’estrazione sostenibile delle risorse naturali necessarie alla produzione economica.

I flussi di materia ed energia in entrata di questo modello sono stati concepiti solo ed esclusivamente per generare flussi di beni in uscita, e il relativo profitto.

Dalla seconda metà del Novecento, l’avvento delle crisi energetiche e l’emergere di studi legati al cambiamento climatico, primo fra tutti lo studio con cui Pachauri è stato insignito nel 2007 con il premio Nobel per la pace, avrebbero dovuto spingere la politica e gran parte degli attori internazionali a ripensare questo modello.

Nel frattempo una nuova filosofia di pensiero legata al concetto di sostenibilità, dove la relazione tra economia ambiente e società è chiamata ad essere predominante nelle scelte politiche, si sta fortemente sviluppando.

Ed ecco che le domande in apertura trovano il loro senso in questo contesto storico, difficile ma anche ricco di opportunità. In questo senso è stata un’opportunità ad esempio la pandemia, perché ci ha mostrato l’importanza del sacrificio collettivo.

Mettersi in gioco per fermare – o almeno rallentare – il virus ha richiesto sacrifici a tutti i livelli. A partire dalla politica che ha dovuto cambiare repentinamente agenda per focalizzarsi sul virus, fino ai cittadini che hanno dovuto pagare il prezzo delle restrizioni. Al contempo, la comunità scientifica ha profuso un grande sforzo sia per gestire la pandemia sia per produrre vaccini in tempi record.

Il mondo si è letteralmente fermato, ha riconosciuto praticamente all’unanimità un problema superiore ed ha agito, per quanto possibile, all’unisono, cercando di contrastare la diffusione del virus.

Un atteggiamento di difesa a livello mondiale nei confronti di un fenomeno naturale, riconosciuto un pericolo per tutti. È lo stesso approccio con cui oggi dovremmo affrontare il cambiamento climatico, ma troviamo difficoltà nel farlo.

Il principale motivo di questa diversa visione di due problemi così incredibilmente simili nel modo in cui dovrebbero essere affrontati, risiede, a mio modo di vedere, nella scala temporale.

Il Covid si è sviluppato su una scala temporale molto breve, rispettando i tempi tipici dell’attenzione umana, mentre la problematica del cambiamento climatico varia su una scala temporale più lunga.

Questo aspetto implica una diversa percezione del problema. Mettersi in gioco per fermare il virus ha previsto un sacrificio a breve termine che ne ha facilitato l’accettazione delle imposizioni atte a contrastarlo. La percezione che si ha nella lotta ai cambiamenti climatici, invece, è quella di uno sforzo collettivo a lungo termine dove ciò che perdiamo sono i nostri stili di vita. E anche se siamo convinti che questo cambiamento sia necessario, siamo comunque impauriti dal fatto che lo sarà per sempre.

Le politiche internazionali, da molti decenni ormai, avrebbero dovuto attuare, citando Alexander Langer, “cambiamenti frammentati in piccoli traguardi che si portino dietro anche miglioramenti della vita e delle condizioni sociali”.

È evidente come questo non sia avvenuto, e oggi ci troviamo a dover risolvere in tempi brevi una problematica che andava affrontata a partire da molto tempo fa. Siamo perciò costretti a ragionare sulla base di scelte nette, ma soprattutto non siamo più nella condizione di scegliere la “soluzione migliore”, siamo costretti a ricercare la “meno peggiore”, proprio come la scelta tra le due domande iniziali che lasciano entrambe capire che qualcosa, in ogni caso, la dovremo pagare.

Sta proprio qui l’eredità che le generazioni passate hanno lasciato a quelle di oggi: scegliere il male minore e sceglierlo in fretta.