Il Mahb indaga su un dilemma che somiglia sempre più a un caso psichiatrico
Sostenibilità, conoscere i rischi del Business as usual non basta per agire. Perché?
Dobbiamo diventare tutti dei moltiplicatori per modificare gli attuali andamenti dei nostri processi di sviluppo
Come ho più volte sottolineato ed argomentato nelle pagine di questa rubrica, se non si riesce ad impostare una nuova economia sarà molto difficile pensare a scenari, per i prossimi decenni, capaci di consentire alle società umane percorsi di sostenibilità dello sviluppo socio-economico, avendo finalmente imparato a vivere nei limiti biofisici di un solo straordinario pianeta, la nostra Terra.
Questa rubrica “Verso la scienza della sostenibilità”, cerca di dar conto, ormai da vari anni, soprattutto dei risultati raggiunti dalla comunità scientifica internazionale che si occupa approfonditamente dei fenomeni del Global Environmental Change (GEC); di come cioè sia possibile discernere gli effetti prodotti dalla pressione umana sui sistemi naturali, rispetto alla naturale variabilità dei fenomeni evolutivi che agiscono nella nostra meravigliosa biosfera. Questa comunità scientifica sta allertando da tempo, in maniera ampiamente argomentata e motivata, il mondo politico ed economico sull’urgenza di modificare immediatamente la rotta dei nostri percorsi di sviluppo, orientandoli alla sostenibilità.
Paul ed Anne Ehrlich, i famosi ecologi della Stanford university, qualche anno fa hanno lanciato un grande progetto internazionale definito Millennium assessment for human behaviour del quale ho già scritto in questa rubrica e che si è poi trasformato nel Millennium alliance for humanity and biosphere.
Gli Ehrlich sottolineano come sia evidente a noi tutti che la sola consapevolezza del pericolo biofisico che sta correndo la nostra civiltà sia insufficiente a stimolare i cambiamenti necessari per evitarne il collasso. Occorre quindi una comprensione più ampia del modo in cui le culture si modificano e possono essere modificate, il che sottolinea l’urgenza da parte della società globale di concentrarsi sulla necessità di una rivoluzione culturale. L’obiettivo del Millennium assessment for human behaviour era proprio quello di fornire questo spunto.
Alla luce del successo ottenuto dall’operato dell’Ipcc (l’Intergovernamental panel on climate change) nel mettere insieme scienziati e funzionari politici dei governi delle varie nazioni, un gruppo di scienziati dei sistemi naturali e sociali si è messo a lavorare per individuare come sia possibile accrescere l’abilità ad implementare i cambiamenti nel comportamento, nelle istituzioni e nella cultura che sono necessari all’umanità intera per assicurare a tutti un futuro sostenibile ed equo. Cioè, quella che viene definita la Foresight Intelligence. Questo, come abbiamo imparato a conoscere (anche dalle pagine di questa rubrica, mi auguro), è anche l’obiettivo della scienza della sostenibilità.
Tra i compiti più importanti delle azioni del Mahb vi è proprio la realizzazione di dibattiti pubblici sulle cause del comportamento autodistruttivo dell’umanità, quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, discutendone anche le dimensioni etiche e indagando come l’evoluzione culturale possa dirigersi verso la creazione di una società globale sostenibile. Presumibilmente, questa è la direzione auspicata dall’intera umanità: una possibilità per figli e nipoti di condurre vite altrettanto soddisfacenti o migliori delle nostre.
L’obiettivo fondamentale del Mahb è riformulare le definizioni e le soluzioni ai problemi della sostenibilità, promuovendo un dibattito globale su quali dovrebbero essere gli obiettivi dell’umanità. Il Mahb aveva già reso noto lo scorso anno l’importante documento Environment and Development Challenges: The Imperative to Act, voluto dai numerosi vincitori nell’arco degli anni del Blue Planet Prize, da molti ritenuto una sorta di Premio Nobel sull’ambiente.
Gli studiosi vincitori del Blue Planet Prize che lo sottoscrivono (ad esempio, Bob Watson, Paul Ehrlich, Harold Mooney, Amory Lovins, Gene Likens, Jim Hansen, James Lovelock, Susan Solomon, Suki Manabe, ecc.) sottolinea fortemente la necessità e l’imperativo di agire ora e di non perdere più altro tempo.
Il quadro della situazione dei sistemi naturali del nostro meraviglioso pianeta (che è stato oggetto della grande conferenza organizzata dall’International Council for Science – ICSU – del marzo dello scorso anno a Londra, dal titolo Planet Under Pressure, e che si è conclusa con la Dichiarazione dello Stato del Pianeta), sul quale ci siamo a lungo soffermati in questa rubrica, è sempre più drammaticamente chiaro agli scienziati di tutto il mondo e non possiamo rimandare ancora nel muoverci speditamente per cambiare rotta ed imboccare la strada di una maggiore sostenibilità dei nostri modelli di sviluppo.
Le emissioni di gas che incrementano l’effetto serra naturale e modificano la composizione chimica dell’atmosfera costituiscono uno dei più grandi pericoli per l’umanità. Sappiamo che l’andamento attuale delle emissioni potrebbe condurci a superare le 400 parti per milione di volume (ppm) di anidride carbonica nella composizione chimica dell’atmosfera entro l’anno. Il dato del maggio 2013 del famoso Osservatorio di Mauna Loa nelle Hawaii è giunto a 399.77 ppm, ma dovremo aspettare la calibratura dei dati di tutto l’anno per vedere come il 2013 sarà chiuso rispetto a questo importante indicatore.
Senza concrete e urgenti azioni per ridurre le emissioni di gas climalteranti, come già segnalava il documento dell’Imperative to Act , si potrebbe verificare un incremento della temperatura media della superficie terrestre di 3°C: un valore che, dalle nostre conoscenze scientifiche, non è mai stato raggiunto negli ultimi 3 milioni di anni di vita della Terra e che potrebbe addirittura salire fino a 5°C, un valore che il nostro pianeta non ha mai sperimentato negli ultimi 30 milioni di anni circa.
Ricordo a tutti che la nostra specie è riuscita a diffondersi sul pianeta, crescendo di numero (sino a raggiungere gli attuali 7.1 miliardi, con la previsione dei 9.3 miliardi nel 2050) e a colonizzare praticamente tutte le terre emerse, grazie agli equilibri dinamici ambientali e climatici che sono esistiti negli ultimi 10.000 anni (consentendoci anche di passare dalla rivoluzione agricola a quella industriale).
La tutela della biodiversità, la ricchezza della vita sulla Terra, è fondamentale per la sopravvivenza umana. Il valore sociale, economico, culturale, spirituale e scientifico della biodiversità è realmente incalcolabile. L’attuale tasso di estinzione della biodiversità che, secondo gli studiosi, non ha precedenti se non rispetto all’ultima grande estinzione di massa verificatasi circa 65 milioni di anni fa, quando sparirono anche le specie di dinosauri dal nostro pianeta, mette a serio rischio le capacità che la struttura e le funzioni degli ecosistemi hanno di fornirci le basi stesse della nostra sopravvivenza.
Il documento Imperative to Act ci ricorda chiaramente che una crescita economica incontrollata è insostenibile in un pianeta con limiti biofisici evidenti. I governi devono riconoscere le serie limitazioni presentate dal Pil (il Prodotto interno lordo) come misura ed indicatore della crescita e della ricchezza di un paese. Il Pil quindi deve essere assolutamente integrato con altri indicatori ambientali e sociali che diano il senso compiuto di cosa significhi realmente la ricchezza di un paese. Inoltre è necessario istituire delle tasse ecologiche ed eliminare rapidamente tutti i sussidi perversi forniti dai governi alle attività dannose per l’ambiente e il nostro futuro.
Il Mahb ha recentemente diffuso un altro documento molto importante dovuto ad un autorevolissimo gruppo di oltre 500 scienziati dal titolo Scientific Consensus on Maintaining Humanity’s Life Support Systems in the 21st Century: Information for Policy Makers. Questo Scientific Consensus, che è stato elaborato dal grande paleoecologo Anthony Barnosky, autore insieme a diversi altri scienziati del bellissimo paper apparso su Nature lo scorso anno e sul quale più volte mi sono soffermato in queste pagine (vedasi Barnosky A.D. et al., 2012, Approaching a state shift in Earth’s biosphere, Nature, Vol. 486, 7402), fa presente che il sistema Terra si sta rapidamente avvicinando ad un punto critico planetario.
L’impatto umano ha ormai raggiunto livelli insostenibili di pressione, modificazione, distruzione degli ecosistemi e della biodiversità sul nostro pianeta, livelli che stanno drammaticamente indebolendo i sistemi ecologici di supporto della vita sulla Terra. Continuando con i classici scenari Bau (ossia di Business as usual) rischiamo perciò, entro il 2050, situazioni molto gravi di sofferenza per l’intero genere umano. Il documento sottolinea l’importanza di un’azione rapida e condivisa per intervenire su cinque grandi elementi che causano la disgregazione dei sistemi naturali e che sono strettamente interconnessi fra di loro: 1. il degrado del sistema climatico, 2. i processi di estinzione delle specie viventi, 3. la perdita della diversità degli ecosistemi, 4. l’avanzamento degli inquinamenti dei sistemi naturali, 5. la crescita della popolazione umana e dei livelli di consumo.
Il testo dello Statement è ampiamente argomentato e si pone proprio come un documento informativo nei confronti dei decisori politici. Dobbiamo diventare tutti dei moltiplicatori di questi importanti messaggi per cercare concretamente di modificare in positivo gli attuali andamenti dei nostri processi di sviluppo.