Un mare di plastica, i «pescatori spazzini» dell’Arcipelago Toscano
«Al ritmo attuale al quale gettiamo le nostre bottiglie, i nostri sacchetti e i nostri recipienti di plastica dopo un solo utilizzo, entro il 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesci e circa il 99% degli uccelli marini avranno ingerito della plastica». L’allarme lanciato dal Programma Onu per l’ambiente (Unep) durante il 4° World ocean summit è una realtà che ci riguarda ormai molto da vicino: secondo i dati raccolti da Legambiente durante l’indagine Beach litter 2018, ci sono quattro rifiuti per ogni passo che facciamo sui nostri litorali. Si tratta soprattutto di plastica: «I materiali polimerici – aggiunge al proposito Loris Pietrelli dell’Enea – sono materiali leggeri e resistenti dei quali non possiamo più fare a meno. Il vero cambiamento di paradigma sta nell’evitare gli usi impropri della plastica». Nel frattempo però i danni già compiuti sono enormi.
Ecco dunque perché in Toscana il progetto sperimentale Arcipelago pulito sta provando ad aggredire il problema direttamente in mare, avvalendosi della preziosa collaborazione dei pescatori di Livorno. I “pescatori spazzini”, come sono già stati ribattezzati. Tutto nasce da un protocollo d’intesa siglato tra la Regione Toscana (capofila del progetto), ministero dell’Ambiente, Unicoop Firenze, Legambiente, Autorità portuale del Mar Tirreno Settentrionale, Labromare, Direzione marittima della Toscana, Revet e la cooperativa dei pescatori Cft, che ha aderito con entusiasmo: «Il mare è casa nostra – sottolineano con orgoglio i pescatori livornesi – e ognuno tiene a tenere pulita la propria casa».
Partito a primavera e con durata di sei mesi, Arcipelago pulito ha come obiettivo quello di «porre fine a un’assurdità – spiega l’assessore alla presidenza della Regione Toscana, Vittorio Bugli – quella per cui i pescatori che raccolgono i rifiuti finiti nelle loro reti ne diventano produttori, assumendosene gli oneri economici, ma soprattutto giuridici». I pescatori sono dunque “costretti” a rigettare in mare i rifiuti pescati accidentalmente. Un paradosso che è possibile spezzare, come mostra Arcipelago pulito.
«Quando i pescatori che riforniscono i nostri supermercati ci hanno raccontato che insieme al pesce capitava di tirare spesso a bordo rifiuti e soprattutto plastica, Unicoop Firenze – argomenta la presidente, Daniela Mori – ha proposto di trovare una soluzione che ne impedisse il ritorno in mare e potesse invece garantirne il corretto smaltimento e quando possibile il riciclo». Un’iniziativa dove ci guadagnano tutti, compresi i pescatori: «Al progetto – conclude Mori – destiniamo parte del ricavato del centesimo che soci e clienti, per legge, dall’inizio dell’anno devono pagare per le buste in mater-b dell’ortofrutta. In questo modo tutti partecipano al progetto».
In concreto la filiera parte dai “pescatori spazzini”, che hanno attrezzato le barche con appositi sacchi a bordo dove raccolgono i rifiuti – soprattutto plastici – issati con le reti durante la quotidiana attività di pesca. Ogni barca ne tira su fino a sei chili al giorno, il 6% del pescato secondo i dati messi in fila dalla Regione Toscana; sul corretto svolgimento delle operazioni in mare vigila la Guardia Costiera della Toscana, che da subito ha sposato l’iniziativa, mentre Legambiente offre il proprio contributo in termini di esperienza scientifica. Al rientro, i pescatori li depositano in un apposito cassone in banchina, che Labromare periodicamente provvede a svuotare. I rifiuti arrivano quindi nello stabilimento di Revet a Pontendera, un’azienda leader nella gestione integrata del ciclo dei rifiuti (con circa 200 le amministrazioni comunali servite, e oltre l’80% della popolazione toscana), che dopo le opportune attività di analisi e selezione decide se destinarlo a riciclo oppure allo smaltimento.
Proprio da Revet arrivano i dati aggiornati che, dopo sei conferimenti nell’arco di tre mesi, raccontano di 830 kg di rifiuti conferiti dai pescatori, così suddivisi: il 2,7% sono contenitori in plastica per liquidi, il 14,7% sono imballaggi vari, principalmente shopper e imballaggi alimentari, il 78% plastica dura e il 3,1% vetro, oltre a percentuali minime di altri materiali. Di questi il 18,7% è plastica recuperabile, e nel 22% dei casi sono materiali a cui si può dare una seconda vita.
Tutto questo proseguirà almeno fino ad ottobre, quando terminerà la sperimentazione di Arcipelago pulito. Anche se l’obiettivo è trasformare quanto si sperimenta in qualcosa di strutturale e permanente, visto che i risultati finora conseguiti sono molto incoraggianti.
Per questo la Regione Toscana ha presentato il progetto sperimentale a Bruxelles, sia al Parlamento europeo sia al commissario Ue all’Ambiente Karmenu Vella. Da una parte lo scopo è quello di ottenere «una direttiva – argomenta Bugli – che imponga agli Stati membri di riempire il vuoto normativo, alla quale sta lavorando l’onerevole Bonafè». Dall’altra il desiderio è di fare della Toscana un presidio contro i rifiuti marini, allargando il raggio d’azione di Arcipelago pulito – al momento attivo lungo trecento kmq davanti alle coste di Livorno – a tutta la costa regionale. «Per far questo c’è però bisogno di maggiori risorse – ha spiegato Bugli a Bruxelles –, sia per l’attività in mare che per l’eduzione ambientale, essenziale in questa battaglia».
Nel frattempo qualcosa inizia a muoversi anche a livello nazionale. Rossella Muroni, deputata di Liberi e uguali ed ex presidente di Legambiente, ha depositato per prima una proposta di legge ispirata proprio «all’esperienza positiva del progetto sperimentale Arcipelago pulito», e adesso sembra che il ministro Sergio Costa voglia bissare: «Penso di incardinare nelle prossime settimane la prima legge sul mare che parla in particolare della plastica nel mare». Anche in questo caso protagonisti rimangono i pescatori: «Interverremo sulla 152/2006, il codice dell’ambiente, per consentire loro – anticipa Costa – di portare la plastica a terra. In questo modo potranno svolgere un servizio sociale, con il sostegno del ministero».