Il vento mortale di Arlit, in Niger
La lavorazione e l’estrazione di uranio organizzata da imprese internazionali ha contaminato l’aria, l’acqua e la terra rendendo la vita delle comunità insostenibile
Uno dei primi Paesi in cui Cospe Onlus ha iniziato a lavorare è il Niger. Era il 1986, 32 anni fa, e Cospe cominciava la collaborazione con le prime piattaforme contadine che stavano nascendo. Con il tempo ci si è dovuti confrontare con l’eterogenea realtà del Paese, la sua ricchezza di risorse naturali e anche le sue difficoltà. Tra queste, riportiamo di seguito la storia di Amina Weira, regista nigerina, nata e cresciuta nella città di Arlit che ha da poco creato un documentario di denuncia contro una situazione di contaminazione critica in Niger.
Si chiama La colère dans le vent, in italiano “La rabbia del vento”, il docufilm di Amira Weira, ambientato nella città di Arlit a nord del Niger, dove la lavorazione e l’estrazione di uranio organizzata da imprese internazionali ha contaminato l’aria, l’acqua e la terra rendendo la vita delle comunità insostenibile, con continue morti per malattie incurabili e provocando un’emergenza alimentare.
L’area di cui la regista Weira parla è una terra arida e desolata, in passato luogo di accampamenti tuareg – una tribù nomade locale – prima che imprese internazionali non scovassero grandi miniere di uranio e materie preziose. Negli anni ’70 l’azienda francese Areva, adesso conosciuta come Orano, ha iniziato a scavare giacimenti di uranio trasformando in pochi anni la zona in una delle città più importanti nella regione di Agadez, Arlit.
L’arrivo dell’impresa è stato visto dalla popolazione come un’opportunità di lavoro: molti sono stati i locali che si sono spostati da zone limitrofe per iniziare a lavorare nelle miniere. Nessuno conosceva, all’ora, il pericolo della radioattività. Mentre tutti credevano nel progetto di una rivoluzione nucleare.
In quarant’anni, il Niger è divenuto il secondo maggior fornitore di uranio. Il prezzo da pagare, però, è stato l’aumento smisurato di malattie (soprattutto respiratorie) nella popolazione locale e la contaminazione di acqua, cibo e animali della zona. Le conseguenze devastanti sono evidenti, ma se ne parla ancora poco.
Il documentario pluripremiato, presentato a Dakar in Senegal, durante il Film festival femmes d’Afrique, è stato vietato in Niger. Si tratta ancora di un tabù nel Paese, dove ong e società locali dichiarano che il silenzio politico viene pagato in cambio di impianti, servizi e scuole. Anche l’azienda Areva ha sempre negato il suo contributo alla contaminazione del Paese, denunciando pratiche del lavoro etiche e sostenibili. Già dal 2009, però, un report di Greenpeace ha dimostrato un’effettiva contaminazione delle aree di Cominak e Somair. Nonostante le denunce, poco, dal 2009, è cambiato.
Aumentano, invece, le parti interessate alle terre preziose del Niger: oltre alla Francia, anche Regno Unito, Germania, Cina e ultimamente l’Italia. A fine gennaio 2018, infatti, la Camera ha approvato una missione militare in Niger di 400 soldati per contrastare l’avanzamento di terrorismo jihadista e il flusso migratorio irregolare. Sono, però, vaghe le linee guida della missione e in dubbio quale sia il vero interesse dello Stato italiano. Considerato anche che il governo nigerino ha dichiarato di non aver concordato la missione con lo stato italiano, dichiarandola “non concepibile”.