Yagé e tutela dell’Amazzonia: ambientalismo psichedelico in Colombia
Abuela Vitelia: «Diciamo che non bisogna distruggere il territorio e tagliare gli alberi, diciamo che bisogna continuare a parlare la lingua, altrimenti si estingue»
Parlare con Abuela Vitelia è come parlare con un’albera maestra: magico e intimamente arricchente. Vitelia è l’unica donna cofan che celebra cerimonie di yagé, moglie del taita Universario Queta e madre di quattro figli. Sessantacinquenne e figlia di una madre che ha messo al mondo quattordici figli, nasce a Santa Rosa del Guamuez (Colombia), dove tuttora vive.
Vitelia ci racconta della sua infanzia, di un altro modo di vivere ed apprendere. «Io non sapevo scrivere, ho frequentato solo per sei mesi l’asilo, ho imparato a memoria tutto quello che mia madre mi ha insegnato. Ora grazie agli studi dei miei figli ho imparato a leggere e a scrivere».
L’educazione di Vitelia verrebbe definita, nell’ottica occidentale, come un’educazione “alternativa” o “particolare”, ma non per questo meno preziosa. I suoi genitori sono stati le sue prime fonti di conoscenza: il padre, che le ha insegnato ad andare a caccia e la madre che le ha insegnato i nomi delle piante e le loro proprietà. Vitelia ci parla di una vita fondata sulla pesca (dei cuchas, i pesci di fiume), sulla raccolta di pietre, sulla produzione della chicha. Di come lei e le sorelle, compiuti i quattordici anni, hanno imparato a cucinare per quando avrebbero avuto un marito, sotto la guida della madre.
Vitelia è una delle abuelas (nonne) più influenti della comunità cofan e fa parte di Asomi, un’associazione di donne indigene appartenenti a diverse popolazioni, con un’ampia conoscenza delle piante medicinali e delle rispettive tradizioni.
«Come nonna il mio ruolo è quello di insegnare ai miei nipoti la lingua, le cure, a prendere yagè, a conoscere le piante medicinali affinché possano riconoscerle. Loro studiano e il yagé può aiutarli con i loro studi. Il mio ruolo consiste nell’aiutare le mie compagne e amiche, curarle, guidarle, orientarle, affinché possano vivere una vita buona».
Abuela Vitelia celebra cerimonie di yagé soprattutto nella città di Bogotà: non è semplice far sì che il popolo cofan accetti che una donna assuma questo ruolo. «Io mi siedo con gli altri taita e penso: che mi diranno? Ma io ho l’appoggio di mio marito e quindi ovunque io vada facciamo cerimonie insieme, sento il suo supporto e di altri taita. Ci sono alcuni taita che dicono che le donne non possono dare yagè però taita Querubin mi dice: il yagé viene da Kwra, una donna saggia (Ateswpwshesw) che insegnò a un uomo ad essere taita, quindi come possiamo impedire a voi donne di dare la medicina? Qui le donne a Santa Rosa prendono yagé ma con me no, un giorno lo faremo e ci uniremo, io vorrei che loro venissero da me ma senza sentirsi in obbligo».
La vita nella comunità di Santa Rosa del Guamuez – come nelle altre comunità del popolo cofan – negli anni è cambiata notevolmente e Abuela Vitelia, che conosce profondamente la sua lingua e la sua cultura, è in prima linea nella difesa del territorio cofan.
«Bisogna tornare ad occuparsi del territorio, smettere di tagliare altri alberi e salvaguardare gli animali che ci sono nel bosco. Non si può tornare indietro, ma si può insegnare ai nipoti, futuri difensori, affinché imparino a prendersi cura del bosco e non piantare più coca».
Quelli del popolo cofan sono territori pesantemente colpiti da un conflitto armato estesosi per più di 50 anni e che si è lasciato dietro importanti conseguenze, non solo in quanto a vittime, ma anche in termini di assenza dello Stato e livelli di emarginazione e povertà. La presenza di gruppi armati legati alla coltivazione e commercializzazione di sostanze illecite contribuisce poi ad un sistema di perpetuazione della violenza.
«Noi nel cabildo parliamo con le persone – racconta Vitelia – diciamo che non bisogna distruggere il territorio e tagliare gli alberi, diciamo che bisogna continuare a parlare la lingua, altrimenti si estingue: l’unica abuela che cantava e che parlava la lingua è morta. A Santa Rosa già non ci sono più abuelas che parlano correntemente la lingua cofan, le abuelas che ci sono conoscono solo alcune parole. Io parlo con la mia famiglia e andiamo alle riunioni e parlo nella lingua e altre persone traducono in spagnolo, questa è la mia decisione: parlare nella mia lingua e cantare. Mia madre e il yagé mi hanno insegnato i canti nella mia lingua».
Cospe ha conosciuto Vitelia grazie al progetto Liderazgo Juvenil (leadership giovanile afro-indigena per lo sviluppo territoriale sostenibile e la pace in Colombia) volto a promuovere capacità, conoscenze e iniziative produttive per lo sviluppo di filiere legate a prodotti della biodiversità amazzonica, con un coinvolgimento dei giovani afro ed indigeni e delle donne.
Dopo aver fatto un giro nella chagra medicinal, Vitelia ci dice «se potessi scegliere una parola per descrivere l’Amazzonia sceglierei la parola selva – il bosco, espiritu – spirito. La flora e la fauna. Per me l’Amazzonia è la selva, con quello che c’è dentro: giaguari, jabali, tutto quello che vive in lei».
Cospe promuove la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi AMAzzonia, per accendere i riflettori sulle minacce a cui è esposta la foresta pluviale e per sostenere le azioni delle comunità che la abitano e la custodiscono.
La campagna prevede l’adesione a un Manifesto per tutti coloro (singoli o associazioni) che vogliano contribuire alla campagna, cene di raccolta fondi #centoceneperlamazzonia e la diffusione di un Manifesto per gli stili di vita alimentari “Io mangio il giusto”, per far comprendere le relazioni (pericolose) tra ciò che consumiamo e la distruzione di intere parti del pianeta e cosa possiamo fare noi. Cospe oggi lavora con le comunità UkumariKhanke in Colombia, il popolo Karipuna in Brasile e l’associazione Il Bosco del futuro Ojos de Agua (Abofoa) in Perù.
Per sostenere l’Amazzonia e i suoi popoli:
https://www.cospe.org/partecipa/campagne/amazzonia/
https://lotteria-natale.cospe.org/
di Federica Imperato, stagista Cospe in Colombia, per greenreport.it