Legambiente: l’emendamento in legge di Bilancio «così com’è scritto è controproducente»

Paradossi dell’economia circolare, l’attesa norma End of waste è un boomerang per il settore

Nel mentre è stato cancellato il Sistri: per il ministro Costa «attualmente è assicurata la tracciabilità del 65% dei rifiuti speciali». Significa che ad oggi non sappiamo tenere traccia di (almeno) 47.250.000 tonnellate di rifiuti speciali

[18 Dicembre 2018]

Passano legislature e governi, ma il principale problema che frena l’economia circolare italiana resta: una «normativa ottusa e miope», come la definì un anno fa Legambiente, e che trova sempre nuove occasioni per ingarbugliarsi. L’ultima sta in un emendamento alla legge di Bilancio (in allegato il testo integrale tratto dal Sole 24 Ore, ndr) e riguarda la normativa End of waste, ovvero quella che è chiamata a stabilire quando un rifiuto cessa di essere qualificato come tale, al termine di un processo di recupero.

Oggi queste norme a livello nazionale non esistono se non per pochissime categorie di rifiuti, e introdurle è un passo fondamentale per spianare la strada – non solo a parole – all’economia circolare italiana, tanto che gli imprenditori del riciclo manifestarono a novembre davanti al ministro dell’Ambiente Sergio Costa per dire che «senza End of waste l’economia circolare è una bufala».

«Abbiate solo il tempo di aspettare i passaggi tecnici», assicurò allora il ministro, ma il paradosso è che l’attesa norma – così com’è stata pensata e proposta in legge di Bilancio – rischia di non semplificare nulla ma anzi di innescare una nuova spirale negativa. Dopo essere stata tolta all’ultimo tuffo dal decreto Semplificazioni che ha cancellato il Sistri, adesso la rediviva norma End of waste «da una parte fa salve le autorizzazioni già rilasciate in base al vecchio decreto ministeriale del 5 febbraio 1998 sul recupero rifiuti, ma non tiene conto dell’innovazione tecnologica sul riciclo che è maturata negli ultimi venti anni e che non verrebbe agevolata con la norma in via di approvazione», denuncia il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani.

Com’è noto, una sentenza del Consiglio di Stato di febbraio scorso impedisce di fatto il rinnovo delle autorizzazioni esistenti degli impianti di riciclo, o il rilascio di nuove, in mancanza di norme nazionali o europee che stabiliscano i criteri tecnici per la trasformazione dei rifiuti in materia o prodotto secondario, ossia i criteri End of waste, necessari per il riciclo. Senza un intervento legislativo che possa sanare quest’enorme lacuna se «considerata l’emergenza impiantistica in cui ci troviamo, aggravata dai roghi sempre più frequenti, si rischia – afferma Andrea Fluttero, presidente Fise Unicircular (Unione imprese dell’economia circolare) – di compromettere irreparabilmente non solo il settore del riciclo, ma l’intero ciclo della gestione dei rifiuti, con gravi danni per tutta la collettività».

Il fatto è che «se l’emendamento venisse approvato così come è stato scritto – argomenta Ciafani – non risolverebbe il problema del blocco delle autorizzazioni degli impianti di riciclo, con il rischio di aumentare i flussi a incenerimento e nelle discariche, invece che indirizzarli a recupero di materia». Considerato poi che anche termovalorizzatori e discariche sono sempre meno in Italia (come certifica l’Ispra), e gli impianti rimasti sempre più saturi, il rischio ancora più concreto è quello di un blocco totale della gestione rifiuti, oppure di dare campo libero all’illegalità.

Paradossi su paradossi insomma, che tradiscono la superficialità con la quale da sempre le istituzioni nazionali trattano – al di là dei grandi applausi raccolti nei sempre più numerosi convegni dedicati all’economia circolare – la gestione dei rifiuti, contribuendo a creare innumerevoli problemi sul territorio e sprechi di risorse. Oltre alla normativa End of waste, un buon esempio di questa dinamica traspare purtroppo anche dalla già citata abolizione del Sistri, il Sistema di tracciabilità dei rifiuti speciali istituito nel 2010 e mai entrato effettivamente in funzione. «Il Sistri è stato uno dei più grandi sprechi nella gestione dei rifiuti speciali – ha affermato lo stesso ministro Costa – un sistema mai entrato effettivamente in funzione, che però ha comportato costi sostenuti dalle imprese coinvolte e dallo Stato che hanno superato i 141 milioni di euro dal 2010 ad oggi».

Ma a sorprendere maggiormente è la dichiarata non conoscenza di come i rifiuti speciali italiani vengano prodotti, gestiti, smaltiti. Se tre anni fa l’ex presidente Ispra parlando di rifiuti speciali constatava amaramente che «la certezza dell’informazione nel nostro Paese è un’utopia», oggi il ministro Costa aggiunge: «Abbiamo calcolato che attualmente è assicurata la tracciabilità del 65% dei rifiuti speciali». Dato che il totale dei rifiuti speciali prodotti in Italia in un anno è pari a (ma anche qui si tratta di una stima) circa 135 milioni di tonnellate, significa che ad oggi non sappiamo tenere traccia di (almeno) 47.250.000 tonnellate di rifiuti speciali, ovvero ben più di tutti i rifiuti urbani prodotti nell’ultimo anno in tutto il Paese. Come per l’End of waste, anche in questo caso Costa rassicura: «Si deve entrare in una sorta di Sistri 2.0  che digitalizzi l’intera tracciabilità dei rifiuti e i documenti fiscali, superando in tal modo il doppio binario cartaceo/digitale e il registro di carico e scarico. L’obiettivo è arrivare almeno al 90% (della tracciabilità, ndr) risparmiando soldi e tempo per le aziende». Visti i pregressi, non sembra un obiettivo facile da raggiungere.

L. A.