Il primo report di Osservatorio climate finance, Politecnico di Milano
Il surriscaldamento del clima sta già costando centinaia di miliardi di euro alle imprese italiane
Solo nel 2018 il tessuto imprenditoriale ha registrato mancati ricavi per 133 miliardi di euro, con le maggiori perdite percentuali al Nord Est e al Centro
[27 Aprile 2021]
Mentre le emissioni di gas serra stentano a scendere, la temperatura sale e a patire il clima che cambia ci sono in prima fila le imprese italiane – anche se non se ne accorgono. A documentarlo è l’Osservatorio climate finance della School of management del Politecnico di Milano, che oggi alle 15 presenterà i principali risultati del primo anno di attività, con dati che lasciano poco all’immaginazione.
Il cambiamento climatico costa al sistema economico, e non poco: esaminando dieci anni (2009-2018), un grado in più di temperatura ha determinato una riduzione media di fatturato e redditività per le imprese italiane pari rispettivamente a -5,8% e -3,4%. Se poi si considerano le variazioni effettive del clima nelle varie aree geografiche, nel solo 2018 il nostro tessuto imprenditoriale ha registrato mancati ricavi per 133 miliardi di euro, con le maggiori perdite percentuali al Nord Est e al Centro.
«Abbiamo sviluppato un database che incrocia le informazioni economico/finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 (22 milioni in Europa) con i dati metereologici di temperatura, piovosità, irraggiamento solare dal 1950 per trovare evidenze empiriche solide sul rapporto che lega clima e sistema economico», spiega il vicedirettore dell’Osservatorio Vicenzo Butticè.
Già il report Gli indicatori del clima in Italia nel 2019, pubblicato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) mostra una situazione a livello nazionale ben più grave di quella riscontrata come media globale: con +1.56°C il 2019 (ultimo anno analizzato nel report Ispra) è stato il 23° anno consecutivo con anomalia positiva di temperatura rispetto al valore climatologico di riferimento 1961-1990.
Un surriscaldamento globale, peraltro causa sempre più frequente di eventi meteorologici estremi, che è ormai a pieno titolo un tema economico per le imprese italiane, come chiarisce adesso l’Osservatorio del Politecnico di Milano.
L’Osservatorio ha infatti calcolato i danni reali, non ipotetici, dovuti all’aumento della temperatura di 1 grado centigrado in Italia: le piccole imprese sono quelle che più hanno perso in redditività (-4%, a fronte del -5,3% di fatturato), mentre le grandi realtà, potendo meglio agire sui costi e sui processi, nonostante una diminuzione di ricavi e di domanda pari quasi al triplo (-14,6%), hanno contenuto la perdita di marginalità a -3,6%.
Tra i settori, le costruzioni (fatturato a -16,2%, Ebitda a -6,8%), la finanza (-11,8% e -5,9%), che ha subìto un impatto sia diretto che indiretto attraverso i danni alle imprese clienti, e le estrazioni (-10,4% e -7,6%) hanno patito i maggiori contraccolpi dall’aumento della temperatura. L’information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno visto lo stesso calo di fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità ben differente (rispettivamente -6,8%, -4,6% e -3%). Il manifatturiero (-5,2% di fatturato e -2,4% di Ebitda) e il retail (-4,5% e -3,1%) sono i settori che si sono meglio difesi, preceduti solo da agricoltura, turismo e trasporti che, scarsamente impattati, hanno contenuto entrambi gli indicatori entro il -3%.
«La gestione delle conseguenze del cambiamento climatico e le strategie di mitigazione rappresentano la maggiore sfida che le economie mondiali dovranno affrontare nel corso nei prossimi anni – commenta Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio – Ad esempio, l’analisi mostra come un’alluvione possa costare alle aziende del territorio colpito fino al 4% di fatturato e una perdita di valore degli attivi di bilancio di circa lo 0.9%, che sale all’1,9% nel caso di un incendio di vaste proporzioni. Anche l’emergenza mondiale legata alla pandemia ha contribuito ad aumentare la percezione del rischio, perché ha mostrato come gli attori economici subiscano conseguenze non solo in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso i canali della domanda, dell’offerta o della propria catena di approvvigionamento».
E senza una decisa azione climatica il conto – per le imprese e non solo – potrebbe presto peggiorare ancora: oggi viviamo in un Paese più caldo di circa 1,7°C rispetto all’inizio degli anni ’80, contro una media globale di +0,7°C, e se non metteremo subito un freno al riscaldamento globale, tra 30 anni potrebbe costare all’Italia l’8% del Pil – ovvero poco meno del -8,9% provocato dalla pandemia nel 2020 – ogni anno.