Rinnovabili, la Commissione Ue prosegue nella procedura d’infrazione contro l’Italia

Insieme al Governo Draghi si ferma anche l’incompiuta transizione ecologica

Andrà meglio dopo le elezioni? Con l’estrema destra in pole position, l’ovvia risposta è “probabilmente no”. Urgono atti politici coraggiosi e ragionevoli per lo sviluppo sostenibile

[21 Luglio 2022]

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, e anche di Draghi, il “premier più autorevole” che la storia recente della Repubblica italiana ricordi, oggi dimissionario in un Parlamento terremotato dove Lega, Forza Italia e M5S hanno staccato ieri la spina al Governo di cui facevano parte, senza neanche il coraggio di sfiduciarlo.

In una fase storica in cui s’intrecciano crisi climatica, pandemia, crisi energetica e guerra (anche) in Europa, la caduta di Mario Draghi non è una buona notizia per il Paese. Attendere i pochi mesi che ancora ci separavano dalla fine naturale della legislatura avrebbe favorito un passaggio di consegne più ordinato, e magari la possibilità di andare a votare senza una legge elettorale su cui gravano fondati sospetti di incostituzionalità.

Il colpo di teatro della destra e di quel che resta dei pentastellati sembra aver bruciato anche quest’ultima possibilità, ma è necessario sottolineare che neanche la retorica di Draghi come salvatore della patria aiuta a delineare i contorni politici necessari allo sviluppo sostenibile di cui avremmo bisogno.

Basti osservare la parabola della transizione ecologica, inaugurata proprio da Draghi con la trasformazione del ministero dell’Ambiente ma mai tradotta davvero in pratica. Non a caso la luna di miele del Governo con le principali associazioni ambientaliste, se mai è iniziataè finita già da mesi.

Nel febbraio ’21, quando Draghi si presentò in Senato ricevendo la fiducia da parte di quegli stessi partiti che ieri nella medesima Aula gliel’hanno negata, affermò di voler lasciare «un buon pianeta, non solo una buona moneta». Anche ieri ha ribadito in Senato «che dobbiamo portare avanti con la massima urgenza la transizione energetica verso fonti pulite. Entro il 2030 dobbiamo installare circa 70 GW di impianti di energia rinnovabile. La siccità e le ondate di calore anomalo che hanno investito l’Europa nelle ultime settimane ci ricordano l’urgenza di affrontare con serietà la crisi climatica nel suo complesso».

Ma questa «serietà» finora non si è vista. Il Pnrr italiano è il penultimo in Europa (davanti a quello lettone) per risorse destinate alla transizione ecologica e, a proposito di rinnovabili, la Commissione europea ha aperto nei giorni scorsi la seconda fase (parere motivato) della procedura d’infrazione contro l’Italia per il mancato recepimento della direttiva sulle rinnovabili 2018/2001, che fissa un obiettivo vincolante per il 2030 pari almeno al 32% di energie rinnovabili: ovvero, il riferimento normativo cui si agganciano proprio i 70 GW citati da Draghi.

Un riferimento normativo peraltro già obsoleto, dato che il nuovo obiettivo europeo si dirige già al 45% di rinnovabili al 2030, richiamando l’Italia alla necessità di installare oltre 10 GW di rinnovabili l’anno. Anche perché nel mentre stiamo andando al rallentatore: nonostante le promesse di Draghi e del suo ministro Cingolani, da gennaio ad aprile 2022 sono stati installati appena 0,64 GW.

Quanto all’ambiente, oltre ad essere scomparso dal nome del nuovo ministero, sembra sparito anche dalla pratica quotidiana di governo, insieme alla biodiversità. L’Italia firma tutti i trattati europei e internazionali per difendere la biodiversità e gli habitat, per portare al 30% le aree protette marine e terrestri, approva le nuove direttive europee che parlano di questo, ma poi non le applica, non approva i decreti delegati, come del resto (non) ha fatto anche per le Comunità energetiche rinnovabili, e si è “dimenticata” persino di istituire aree protette marine e terrestri previste da decenni nelle sue leggi nazionali. Se Cingolani non ha fatto molto per le rinnovabili, si è dimostrato completamente disinteressato alla difesa dell’ambiente e della biodiversità. Si è rimasti alle buone parole, più che alle buone intenzioni. Sideralmente lontani anche da alcuni governi di centro-destra europei.

Andrà meglio dopo le elezioni? Con l’estrema destra dei meloniani Fratelli d’Italia in pole position, e la Lega salviniana a ruota, l’ovvia risposta è probabilmente no.

Salvini è lo stesso che nel 2016, da eurodeputato, votò contro la ratifica dell’Accordo di Parigi sul clima – la roadmap globale contro la crisi climatica – per poi continuare a deridere il tema negli anni successivi (ad esempio quiqui e qui).

Il partito guidato da Meloni non è da meno: tra le altre cose ha chiesto all’Europa uno stop al Green deal, e appena due mesi fa ha delineato un manifesto dal sapore reazionario contro la transizione verde.

In questo contesto, come afferma da tempo il grande psicanalista Luigi Zoja, più che di eroi avremmo bisogno di ragionevolezza: di atti coraggiosi e ragionevoli, per una politica che sappia tenere insieme le tre dimensioni (ambientale, sociale, economica) della sostenibilità. Vedremo quali saranno messi in campo da qui alle elezioni, con una magra speranza sullo sfondo. Una volta finito di grattare il fondo del barile, non resta che provare a risalire la china.