Introdurre una carbon tax e ridistribuire i proventi ai cittadini darebbe benefici a tutti
Bankitalia: il clima brucerà fino al 9,5% del Pil procapite italiano, con una crescita della emissioni intermedia
L’aumento delle rinnovabili «è auspicabile non solo dal punto di vista ambientale, darebbe una maggiore resilienza ad aumenti esponenziali dei prezzi elettrici» come quelli in corso
[20 Ottobre 2022]
La Banca d’Italia ha concluso il suo progetto di ricerca su Gli effetti del cambiamento climatico sull’economia italiana, che vengono analizzati sotto molteplici aspetti.
Un lavoro che illustra i disastrosi impatti della crisi climatica sul Pil nazionale se le emissioni di CO2eq continueranno a crescere, ma anche le possibilità ancora in campo di invertire la rotta, passando da rinnovabili e carbon tax.
Dalla ricerca Bankitalia emerge in primis come l’agricoltura sia «il settore più esposto al rischio fisico generato dai cambiamenti climatici», in quanto la temperatura e le precipitazioni sono fattori di produzione delle colture: il loro andamento incide dunque in modo drastico e diretto sul comparto.
Ma gli effetti economici della crisi climatica vanno ben oltre il settore primario. In primo luogo è utile sottolineare che la crisi climatica non è un elemento futuribile, ma un problema già in corso, in modo più marcato per il nostro Paese rispetto alla media globale: Bankitalia conferma infatti che «la temperatura in Italia è aumentata di circa 2°C tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del ventunesimo secolo» – con un trend lievemente differenziato tra nord (più elevato) e sud –, mentre nello stesso periodo la media globale registra un aumento di 1°C circa, ovvero la metà.
Cosa succederà se la temperatura continuerà a salire approssimativamente con questo ritmo? Per rispondere, i ricercatori di Bankitalia hanno preso in esame lo scenario di emissione intermedio SSP2-4.5 tratteggiato dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), assumendo l’ipotesi di un aumento di temperatura in Italia pari +1,5°C al 2100 rispetto al 2020.
Questo scenario «potrebbe condurre ad avere nel 2100 un livello di Pil pro capite tra il 2,8 e il 9,5% inferiore rispetto allo scenario baseline», composto da un crescita economica pari al 2% annuo a temperature stabili per i prossimi ottanta anni.
Come evitarlo? «Il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050 richiede un profondo processo di ristrutturazione dei sistemi energetici, ancora fortemente dipendenti dalle fonti fossili (per il 72% in Europa e per l’83% in Italia)», con le energie rinnovabili chiamate a «fornire il contributo principale al raggiungimento dei target ambientali».
Ma a giovare di questa transizione ecologica non sarebbe “solo” il clima. «L’incremento della quota di fonti rinnovabili è auspicabile non soltanto da un punto di vista ambientale – argomentano da Bankitalia – L’installazione di pannelli fotovoltaici per l’autoconsumo di energia darebbe alle imprese, soprattutto quelle operanti in settori energivori, una maggiore resilienza ad aumenti esponenziali dei prezzi elettrici, come quello riscontrato in tutta Europa a partire dal secondo semestre 2021» e ancora in corso.
Tra il dire e fare ci sono però in mezzo i processi autorizzativi degli impianti, dato che le nuove installazioni sono stagnanti dal 2014, concluso il periodo dei grandi incentivi e nonostante la «forte contrazione dei costi di produzioni» che ha resto le fonti rinnovabili sempre più economiche.
«Tra gli ostacoli alla diffusione di impianti fotovoltaici permangono quelli di natura burocratica, dati per esempio dalla farraginosità delle autorizzazioni necessarie alla costruzione e dalle tempistiche dilatate per ottenerle. Dai risultati del nostro studio – continuano da Bankitalia – emerge come una semplificazione delle procedure autorizzative, orientata a ridurre ulteriormente i tempi, gli oneri e l’incertezza associati alla realizzazione di un impianto di medio-grandi dimensioni, possa essere un valido strumento per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi imposti dal Pniec», peraltro già ampiamente superati dalla più recente proposta europea RePowerEu.
Ma non c’è “solo” da semplificare. Bankitalia dedica un intero focus all’opportunità di introdurre una carbon tax, ovvero un’imposta sulle emissioni di gas serra come quelle già introdotte in molteplici Stati europei e del resto del mondo.
«Il 17 gennaio 2019, il Wall street journal – ricordano da Bankitalia – ha pubblicato la più imponente dichiarazione pubblica degli economisti nella storia, firmata da 28 premi Nobel, 4 ex presidenti della Federal reserve board e 15 Consiglieri economici dei presidenti. La dichiarazione indica che un’imposta sulle emissioni di gas serra (carbon tax) offre la leva più efficace in termini di costi per ridurle a un ritmo necessario per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici . E aggiunge che, per massimizzare la fattibilità politica di tale imposta, tutte le entrate derivanti da essa dovrebbero essere restituite direttamente ai cittadini». Un approccio che, come conferma lo stesso Governo italiano, sarebbe oltremodo utile da applicare anche in Italia.
Il problema da superare resta il fatto che la carbon tax, come accade spesso con le tasse ambientali, è regressiva: ovvero grava maggiormente sulle le fasce più deboli della società, che consumano una percentuale relativamente maggiore di beni energetici relativamente al proprio reddito rispetto a quelle più ricche. Ma il modo per risolvere la questione c’è, e passa dalla redistribuzione del gettito.
Per capire come sarebbe meglio agire, Bankitalia parte ipotizzando l’introduzione di una carbon tax equivalente a 75$ per tonnellata di CO2, il valore recentemente proposto dal Fondo monetario internazionale (Fmi) per contenere l’aumento della temperatura media globale entro +1,5°C rispetto alle medie preindustriali.
Per fronteggiare gli effetti redistributivi legati a questi due meccanismi, lo studio ipotizza che il governo possa utilizzare il gettito legato alla nuova imposta in tre modi alternativi ossia per finanziare: un aumento della spesa pubblica; una redistribuzione attraverso trasferimenti uniformi; una riduzione dell’imposta sui redditi da lavoro (Irpef).
Tra i tre, ad emergere come soluzione preferibile – soprattutto in un mercato del lavoro segmentato che non consente ai lavoratori di cambiare settore d’impiego – è l’opzione dei trasferimenti ai cittadini.
«La redistribuzione attraverso il trasferimento determina un aumento dei redditi rispetto alla situazione precedente all’introduzione della carbon tax […] Complessivamente, tale schema redistributivo comporta un miglioramento delle condizioni di benessere di tutti i lavoratori», concludono da Bankitalia. Eppure, la carbon tax ancora non si vede.