Wwf, Greenpeace, Legambiente, Kyoto club e T&E contro la proposta del Governo Meloni

Energia e clima, gli ambientalisti italiani bocciano compatti la bozza del Pniec

«Pur dicendo di voler perseguire la decarbonizzazione, prende per buoni molti diversivi per rallentarla»

[6 Luglio 2023]

La proposta del nuovo Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), elaborata dal Governo Meloni e inviata alla Commissione Ue nei giorni scorsi viene oggi bocciata sonoramente dalle principali associazioni ambientaliste italiane.

Con una posizione congiunta, Wwf Greenpeace, Legambiente, Kyoto club e Transport & Environment,  affermano che il Pniec «sembra non avere una visione chiara, è contraddittorio e, pur dicendo di voler perseguire la decarbonizzazione, prende per buoni molti diversivi per rallentarla».

Non a caso l’iter di elaborazione del Pniec è stato particolarmente opaco, svolto senza coinvolgere preliminarmente in alcun modo la società civile. Gli ambientalisti sottolineano che «la sintesi dell’aggiornamento del Pniec e il documento integrale che sta per essere inviato a Bruxelles sono circolati solo informalmente, talvolta su siti a pagamento, ma non sono stati pubblicati sul sito del ministero né trasmessi al Parlamento, come minimi standard di trasparenza richiederebbero».

Si tratta in buona sostanza di un impegno di facciata contro la crisi climatica, come mostra in primis il blando impegno sul fronte delle rinnovabili.

Secondo il Pniec, entro il 2030 queste fonti dovranno coprire il 65% della domanda elettrica nazionale, prevalentemente installando +74 GW di eolico e fotovoltaico; se questa è la posizione del Governo Meloni, Elettricità futura – la principale associazione confindustriale del comparto elettrico – alza di molto l’asticella (84%, +85 GW), per non parlare dei target proposti dagli ambientalisti (+99 GW e zero emissioni nel comparto elettrico al 2035).

In compenso, il Pniec danneggia anche la sicurezza energetica, continuando a puntare massicciamente su un combustibile fossile come il gas, che l’Italia – priva di significative riserve interne – continua ad importare da Paesi politicamente instabili quando non dittatoriali.

Da agosto 2022 a marzo 2023 i consumi nazionali di gas sono diminuiti del 18%, e installare 85 GW di rinnovabili al 2030 significherebbe poter rinunciare ad altri 20 mld mc/a; una realtà che il Pniec preferisce ignorare.

«Si dà ampio risalto ai nuovi rigassificatori di Piombino e Ravenna – osservano gli ambientalisti – decantandone l’importanza strategica quando i dati ci dicono che questi impianti non solo non sono assolutamente serviti a superare la fase critica, non essendo ancora operativi, ma costeranno cari a contribuenti e consumatori. Non si prende in esame la già nota ridondanza di infrastrutture di approvvigionamento (sia gasdotti sia rigassificatori). Ipotizzare poi che occorrano altre Aste di capacity market per sostenere nuovi impianti termoelettrici a gas è assurdo e in controtendenza. Le future aste dovranno piuttosto focalizzarsi solo su sistemi di accumulo integrati con le rinnovabili».

Gli ambientalisti ritengono poi «del tutto ideologico» il ruolo strategico attribuito alla Ccs (cattura e sequestro del carbonio), una serie di pratiche «poco più che sperimentali», visto anche che «nessuno ha ancora rendicontato quanto si è speso e cosa abbiano prodotto le due sperimentazioni già effettuate, quella di Brindisi-Cortemaggiore e quella del Sulcis».

Perfino all’idrogeno viene assegnato un «ruolo improprio», con gli ambientalisti a sottolineare che dovrebbe invece «essere solo verde (ossia da fonti rinnovabili) e destinato solo a quei settori e ambiti che non possono essere direttamente elettrificati».

L’elettrificazione arranca invece anche nel settore trasporti, dato che il Pniec punta tutto sul contributo dei biocarburanti, sostanzialmente «raddoppiati e impiegati in larga misura nel settore stradale». Una previsione che porta con sé numerosi problemi: «Il consumo di carburanti nei motori per i trasporti rimane lo stesso: 40 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio nel 2030 come nel 2021. La nuova mobilità elettrica (stradale come quella ferroviaria è prevista solo come aggiuntiva). L’Italia sembra voler puntare solo su un forte incremento del consumo di carburanti di origine biologica, con l’ambizione di raggiungere numeri incompatibili con la disponibilità di feedstock effettivamente sostenibili e mancando di distinguere tra biocarburanti realmente “avanzati” e vettori che spesso sono più climalteranti degli idrocarburi fossili».

Infine, l’arma di distrazione di massa per eccellenza in fatto di transizione energetica: l’intramontabile fascinazione della destra per il nucleare: «Un altro aspetto grave e puramente ideologico – concludono gli ambientalisti – è la forte e ingiustificata apertura al nucleare di cosiddetta “nuova generazione”. Quarta generazione, Smr (piccoli reattori modulari) sono cose di cui si discute da tempo, ma nessuna di esse è davvero realizzabile e, soprattutto, nessuna di esse è in grado di risolvere i problemi tecnici che da sempre affliggono il nucleare da fissione».