Siccità, auto e case green: il rapporto de La Sapienza mostra le lacune del Governo
Per il ministro Pichetto «il nostro Paese deve affrontare le questioni ambientali con realismo», ma di fronte all’evidenza scientifica si ferma
[13 Settembre 2023]
Al ministero dell’Ambiente è stato presentato oggi il nuovo rapporto Siccità, transizione auto, case green, elaborato dall’Osservatorio delle imprese della facoltà di Ingegneria civile e industriale dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Si tratta di un rapporto patrocinato proprio dal ministero, ma elaborato in modo indipendente da 18 esperti coordinati da Riccardo Gallo, che affronta «i tre principali nodi del governo dell’ambiente e della sicurezza energetica».
Durante la presentazione, il ministro Pichetto ha sottolineato «la piena libertà di valutazione scientifica» che caratterizza il rapporto: «Il nostro Paese – ha detto Pichetto – deve affrontare le questioni ambientali con realismo. Abbiamo bisogno di un approccio basato su dati e conoscenze, superando ogni tentazione ideologica. È il motivo per cui ho chiesto questo contributo, quale libero e prezioso supporto al decisore pubblico».
L’auspicio è dunque che il ministero e l’intero Governo Meloni possano fare tesoro del rapporto, perché le misure finora messe in campo dall’esecutivo nei tre campi d’indagine – siccità, transizione del settore automotive ed efficienza energetica degli edifici – sono largamente distanti.
Partendo dalla siccità, il rapporto evidenzia infatti che la risposta è da declinarsi «attraverso tre possibili azioni di adattamento: soft (misure politiche, giuridiche, sociali, gestionali e finanziarie per aumentare la percezione del rischio), verdi (misure sull’ambiente e sugli ecosistemi per migliorare la capacità adattiva), infrastrutturali o tecnologiche (misure costruttive per rendere territorio, edifici, infrastrutture e le più resilienti al rischio)».
Il decreto Siccità varato ad aprile dal Governo Meloni, la cui applicazione ad oggi è sostanzialmente ferma – in attesa che inizi a dipanarsi il lavoro del nuovo commissario nazionale – si concentra però prevalentemente sull’ultimo dei tre capisaldi, puntando essenzialmente sui (pur necessari) nuovi invasi ma ignorando le potenzialità delle soluzioni basate sulla natura.
Passando alla transizione dell’automotive, il rapporto individua come prima opzione per la decarbonizzazione i veicoli elettrici a batteria. Le altre due prese in esame sono i veicoli con celle a combustibile alimentate da idrogeno, o quelli che impiegano combustibili a basso tenore di carbonio (bio-fuels, e-fuels).
Per quanto riguarda l’idrogeno le applicazioni più interessanti riguardano la mobilità ferroviaria (in Italia quasi un terzo delle linee locali non è elettrificato) e quella navale, passando in questo caso da combustibili ad alto contenuto di idrogeno come ammoniaca e metanolo. Il rapporto riconosce al contempo che l’adozione su larga scala di veicoli a idrogeno «appare lontana nel tempo», considerando che «al 2050 tutto l’idrogeno e i combustibili a base di idrogeno nel migliore dei casi potranno soddisfare poco più di un quarto della domanda totale».
Se l’approccio costituito dagli e-fuels «appare irrealistico» per questioni di costi, quello basato sui biocarburanti (bio-fuels) viene presentato «come l’alternativa più interessante agli odierni combustibili fossili».
Data l’esigenza di decarbonizzare l’economia, il rapporto suggerisce comunque la «eliminazione dei motori endotermici al 2035», pur affermando che i veicoli elettrici «non sono ancora competitivi per costi, bassa autonomia e lunghi tempi di ricarica».
Occorrerebbe dunque accelerare gli investimenti sul comparto, mentre lo scorso marzo il Governo Meloni si è schierato con Romania e Bulgaria astenendosi nel voto sul regolamento approvato dall’Ue proprio per azzerare le emissioni di CO2eq al 2035 nelle auto e furgoni di nuova immatricolazione.
Lo stesso vale per la nuova direttiva sull’efficienza energetica degli edifici, approvata in Ue sempre a marzo con sgomento italiano.
Su questo fronte il rapporto suggerisce di puntare sullo sviluppo delle Comunità energetiche rinnovabili (il decreto nazionale per i relativi incentivi, annunciato a febbraio con un anno di ritardo, ancora non è stato pubblicato) insieme ad un ampio ventaglio di misure attraverso «installazione di fotovoltaico ed eolico, produzione di biometano, rete di teleriscaldamento, sostituzione di caldaie a gas con impianti a pompa di calore, azioni per il risparmio energetico negli edifici, sviluppo della mobilità elettrica e ibrida, produzione di idrogeno verde e relativa installazione di elettrolizzatori».
Qualche esempio di dettaglio? Il rapporto punta sull’eliminazione dell’uso delle caldaie a gas nei nuovi edifici al 2025, l’esclusione delle caldaie a gas da tutti i sistemi incentivanti attuali, la produzione di biometano per 7 bcm/anno entro il 2030 e l’introduzione di semplificazioni immediate per le rinnovabili (la bozza di decreto sulle Aree idonee presentata dal Governo va paradossalmente in direzione opposta), con obiettivi molto stringenti, a partire dalla «autorizzazione entro giugno 2023 di nuovi impianti a fonti rinnovabili per 60 GW di nuova potenza installata» da realizzare entro fine 2026: se questo dovrebbe essere l’obiettivo, in realtà nei primi sei mesi del 2023 sono entrati in esercizio appena 2,5 GW di nuovi impianti rinnovabili.