Nominato dal ministero dell’Ambiente, lo aspetta la (dura) prova dei fatti
L’Italia ha il suo comitato scientifico per la riduzione e prevenzione dei rifiuti. C’è anche Segrè
[30 Luglio 2014]
Il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti ha il suo comitato scientifico, appena nominato dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti; dopo 9 mesi dalla presentazione del documento si formalizza dunque una prima tappa di un percorso assai lungo e ancora tortuoso per l’Italia. A presiedere il comitato scientifico è stato chiamato Andrea Segrè (Nella foto), ordinario di Politica agraria all’università di Bologna e noto per l’impegno come fondatore e presidente di Last minute market.
Segrè, che già era stato chiamato dal dicastero a dirigere un gruppo di lavoro contro lo spreco di cibo – dal quale si aspettano i primi risultati – sarà affiancato in questa nuova avventura da Roberto Cavallo, amministratore delegato della società di progettazione e comunicazione ambientale E.R.I.C.A., e ora designato come vicepresidente del comitato scientifico. A completare il gruppo Mario Grosso (ingegnere ambientale del politecnico di Milano), Valentina Cipriano (dal servizio tecnico di Federambiente) e Isarema Cioni (Regione Marche, dirigente nel settore ciclo dei rifiuti).
«Il nuovo comitato – informano da E.R.I.C.A. – in carica fino al 2017, si occuperà di supportare il ministero nell’analisi e lo studio di soluzioni utili all’attuazione e l’implementazione del Programma nazionale di riduzione dei rifiuti. Suo compito principale sarà quindi quello di proporre nuove misure di prevenzione nei settori di intervento, soprattutto alla luce di modifiche e aggiornamenti del programma stesso. Ogni anno il comitato dovrà presentare una relazione sul proprio operato».
Dato non trascurabile, il comitato «presterà la propria opera a titolo gratuito». Un indice di buona volontà che non guasta. Ai membri del comitato ne servirà molta per poter lavorare con risultati positivi in un contesto a dir poco avverso.
Oltre alle perplessità sull’impostazione del Programma che rimangono sul tavolo, l’ostacolo maggiore sarà coordinare un’attività per la riduzione dei rifiuti (urbani e speciali, pericolosi o meno) quando gli strumenti per ottenere qualcosa in questo campo – ossia politiche fiscali e industriali, a monte e a valle – remano esattamente in direzione contraria.
Per gli interventi a monte ricordiamo infatti come l’Italia ancora non abbia in disponibilità una solida e sufficientemente aggiornata statistica sui flussi di materia in entrata e in uscita dal suo metabolismo economico; la meritoria opera dell’Istat e dell’Ispra in proposito non ha trovato il seguito che meritava, mentre il Comitato per il capitale naturale annunciato dal ministero dell’Ambiente l’anno scorso si è perso nelle nebbie parlamentari insieme al Ddl Ambiente che lo prevedeva. Senza neanche avere la possibilità di contare i flussi di materia con efficacia possiamo dunque immaginare quella ottenibile nello sforzo di ridurre i rifiuti.
Per quanto riguarda invece le politiche industriali e fiscali a valle, basti l’accenno alla “nuova” proposta che arriva direttamente dal ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi. Dopo gli incentivi (giusti, e funzionali) alla ristrutturazione energetica degli edifici e quelli (opinabili) all’acquisto di nuova mobilia, torna ora in fase di elaborazione il cavallo di battaglia delle «politiche di incentivazione per il rinnovo del parco auto circolante».
Un’iniziativa che, se andrà in porto così come ipotizzata, avrà un impatto relativo sulla qualità ambientale italiana (comunque incentivando una mobilità privata inquinante) e della produzione industriale nostrana, e pessimo nella misura dell’aumento dei rifiuti e del consumo di risorse non rinnovabili. Si continuano così a concedere incentivi della più svariata natura escludendo settori come quello del riciclo – e in particolare di quello che opera con materiali difficili da riciclare (e dunque bisognosi di sostegno) come il vetro fine o le plastiche eterogenee, che pure avrebbero un valore strategico per l’economia italiana –, cercando in tutti i modi di stimolare un’asfittica crescita pur che sia. Rinunciando a indirizzarla, e fallendo peraltro anche nel semplice obiettivo di farla crescere.
Si intuiscono dunque le difficoltà in cui dovrà operare il comitato scientifico di cui sopra, se non vorrà rimanere un’opera di facciata. Il suo compito, se eseguito con vigore, sarebbe d’altronde centrale. Auguri dunque: ce ne sarà bisogno.