Cinque zavorre frenano la transizione energetica italiana
I nuovi impianti rinnovabili sono troppo pochi e troppo piccoli, mentre negli altri Paesi Ue marciano spediti
[26 Febbraio 2024]
Il Centro Levi Cases dell’Università di Padova ha ospitato una conferenza di alto livello per fare il punto sulla transizione energetica italiana, che risulta ancora oggi troppo lenta anche solo per avvicinarsi agli obiettivi di decarbonizzazione indicati dall’Ue al 2030.
Gli esiti del seminario, presentati dal magazine dell’Ateneo – Il Bo Live – si soffermano innanzitutto sulla necessità di aumentare ritmo e taglia nell’installazione di nuovi impianti rinnovabili.
Rispetto ai +5,7 GW entrati in esercizio nel 2023, il «minimo indispensabile per stare nella traiettoria di decarbonizzazione» dovrebbe essere pari a +9-10 GW annui, secondo Davide Chiaroni, professore del dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano. Un dato che Elettricità futura – l’associazione confindustriale che rappresenta il 70% del comparto elettrico nazionale – porta a +12 GW, visti i ritardi accumulatisi negli ultimi anni.
Oltre alla potenza installata inadeguata, preoccupa la taglia dei nuovi impianti entrati in esercizio, dato che oltre metà del fotovoltaico installato è stato residenziale di piccola taglia, ovvero entro i 20 kW: «Non abbiamo trovato ancora la ricetta giusta di autorizzazione e incentivazione degli impianti – spiega Chiaroni – Facciamo fatica a autorizzare e mettere a terra impianti di grandi dimensioni, maggiori di 1 MegaWatt (MW), senza i quali non si riesce a scalare».
Nel frattempo – e qui sta la terza zavorra – si allarga il gap coi competitor europei, dato che «la Germania ha il doppio del nostro installato pro capite di fotovoltaico, ma anche la Spagna ci ha superato; la Francia ha due volte il nostro eolico pro-capite, la Spagna tre volte e la Germania quattro».
Spostando l’orizzonte dell’analisi dalle fonti rinnovabili alla decarbonizzazione pura, il contesto non migliora anche se a prima vista appare positivo: in Italia infatti dal 2021 al 2023 i consumi di energia sono calati del 5,6% mentre il Pil è cresciuto dell’1%, e al contempo le emissioni sono diminuite dell’8%.
«Almeno la metà del calo dei consumi, e poco più della metà del calo delle emissioni, è legato a fattori come il clima eccezionalmente mite degli scorsi inverni, il crollo della produzione industriale dei settori energivori e il contenimento dei consumi per i prezzi record dell’energia, che hanno già avuto effetti traumatici sulla competitività di alcuni comparti industriali», spiega il ricercatore Enea Francesco Gracceva: in altri termini la già debole decarbonizzazione in corso «dipende da aspetti congiunturali e non strutturali».
La quinta zavorra è invece rappresentata dalla volatilità dei prezzi, che insieme alle difficoltà autorizzative frena la messa a terra degli investimenti: «Nel 2011 abbiamo installato 11 GW e si montavano torri eoliche da 1 MW. Oggi se ne fanno da 6 MW. Con la metà dello sforzo del 2011 potremmo installare i GW che ci servono. Non è un problema dal punto di vista industriale né economico, se si garantisce che l’energia verrà venduta a un prezzo stabile per un po’ di anni – argomenta nel merito Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura – Servono le autorizzazioni soprattutto dei territori regionali, occorre migliorare la rete e le connessioni (anche qui servono gli obiettivi delle regioni). Oltre a elettrificare consumi (riscaldamento, trasporti), servono i sistemi di accumulo. Occorrono nuovi sistemi di aste, meno rigidi, e contratti come i Ppa (Power purchase agreement)».