Eurobarometro, la prima preoccupazione degli italiani è la disoccupazione (e non i migranti)
A livello europeo la crescita più forte è quella legata ai cambiamenti climatici, oggi in seconda posizione mentre nel nostro Paese rimangono indietro. Eppure è dall’economia verde che possono nascere 800mila nuovi posti di lavoro
[7 Agosto 2019]
I risultati dell’ultima indagine Eurobarometro, appena pubblicati dopo aver condotto sondaggi d’opinione in tutti e 28 gli Stati europei, mostrano com’è cambiato il rapporto con l’Ue nel corso dell’ultima legislatura e le priorità dichiarate dai cittadini sia a livello comunitario che nazionale. Con qualche sorpresa.
In primo luogo, nonostante il montare della retorica antieuropea che lega i partiti sovranisti di tutto il Vecchio continente, la fiducia nell’Ue ha raggiunto il suo livello massimo dal 2014, e risulta più elevata rispetto alla fiducia nei governi o nei parlamenti nazionali (44% contro 34%, rispettivamente); anche il sostegno all’euro raggiunge un nuovo livello record, con oltre tre quarti dei rispondenti (76%) nella zona euro a favore della moneta unica.
Per quanto riguarda invece le principali preoccupazioni che affliggono i cittadini europei il sondaggio individua due grandi aree di riferimento, quella comunitaria e quella nazionale.
A livello europeo è l’immigrazione ad essere percepita come il più grande problema da affrontare, nonostante nel 2018 il numero di arrivi (139.300) sia stato il più basso da cinque anni: la pensa così circa un terzo degli europei (34%), nonostante il forte calo degli ultimi mesi (-6% dall’autunno 2018) e nonostante il fatto – soprattutto – che l’81% dei cittadini europei sostiene “la libera circolazione dei cittadini dell’UE, che possono vivere, lavorare, studiare e svolgere un’attività ovunque nell’Ue”.
La grande novità del sondaggio Eurobarometro riguarda però i cambiamenti climatici, che nell’autunno del 2018 si collocavano al quinto posto, sono ora la seconda preoccupazione principale a livello europeo (22%, +6% dall’autunno 2018); i cambiamenti climatici sono la prima sfida da affrontare a livello Ue per il 49% dei danesi, il 48% degli svedesi, il 40% dei finlandesi, il 33% degli irlandesi… ma solo per il 15% degli italiani.
Spostando l’osservazione dalle preoccupazioni dal livello europeo a quello nazionale, in media gli Stati membri Ue temono più di tutto disoccupazione, l’aumento dei prezzi e del costo della vita, i problemi che intersecano sanità e sicurezza sociale (tutti al 21%), seguiti a ruota dai cambiamenti climatici insieme agli temi ambientali ed energetici (20%, (+6% dall’autunno 2018, e +18% dall’autunno 2011), mentre l’immigrazione si ferma al 17% (-4% dall’autunno 2018, e -19% dall’autunno 2015). La crescita dei temi ambientali nella pubblica sensibilità – almeno di quella dichiarata – è evidente: si tratta della prima preoccupazione in Danimarca (54%), Paesi Bassi (51%), Svezia (44%), Germania (36%) e Austria (26%), e occupa il secondo posto in Finlandia (35%) e Lussemburgo (22%). Anche in questo caso per l’Italia è lontana dal gruppo di testa, e soltanto l’8% degli italiani intervistati (meno della metà della media Ue, ormai al 20%) mette l’ambiente in cima alle proprie preoccupazioni a livello nazionali.
Se dal sondaggio Eurobarometro risulta che per gli italiani le prime preoccupazioni a livello europeo sono l’immigrazione (32%, comunque meno della media Ue al 34%), la situazione economica (28% vs 18%) e la disoccupazione (26% vs 12%) – con i cambiamenti climatici relegati al 15% contro una media europea del 22% – la leggerezza del portafogli pesa soprattutto a livello nazionale. A dominare il nostrano mondo degli incubi sono infatti di gran lunga la disoccupazione (44% vs 21%), la situazione economica (31% vs 16%), con l’immigrazione ferma al 22% (contro una media europea del 17%) e i temi ambientali all’8% (contro il 20% europeo).
Dati che mostrano come in Italia non sia ancora di dominio comune la altrove ormai banale constatazione che vede legate la lotta ai cambiamenti climatici e alla disoccupazione. Gli ultimi dati Istat (relativi al mese di giugno) mostrano per l’Italia un tasso di occupazione al massimo storico (59,2%), la disoccupazione al minimo dal 2012 (9,7%) e quella giovanile al minimo dal 2011 (28,1%), eppure gli italiani bocciano in toto i risultati economici conseguiti dal Paese perché la qualità del lavoro è rimasta in fondo al barile: le ore di lavoro perse rispetto al pre-crisi – oltre dieci anni fa – rasentano il 5%, il reddito nazionale pure, il part-time è passato dal 14 al 18% dell’occupazione dipendente e la quota di contratti a tempo determinato è aumentata del 40% (dal 12 al 17%).
Puntare sull’economia verde permetterebbe di recuperare il terreno perso e ridare speranza, non solo migliorare il clima: si stima che in Italia potrebbero essere creati 800mila posti di lavoro nel settore da qui al 2025, senza contare che la lotta ai cambiamenti climatici è il primo strumento per aiutare davvero “a casa loro” i migranti che scappano dalle proprie case sospinti da eventi meteorologici estremi, siccità, fame e guerre legate alla scarsità di risorse. Si tratterebbe semplicemente di unire i puntini, e saperlo spiegare ai cittadini.