Eurostat, ogni italiano consuma 7 tonnellate l’anno di risorse naturali
Ambiente ed economia sono strettamente legati: per generare 3,7 euro di Pil serve 1 kg di materie prime
[13 Luglio 2021]
Secondo i dati Eurostat aggiornati oggi al 2020, l’Italia risulta tra i paesi più efficienti nell’Ue sia per la produttività delle risorse naturali, sia per i consumi di materie prime.
Si tratta di statistiche imperniate sull’andamento del Dmc (Domestic material consumption), che sostanzialmente rappresenta l’insieme dei materiali che in un anno, dopo essere stati estratti o importati e trasformati in Italia, non vengono esportati.
Il livello del Dmc cambia molto tra i vari Stati membri dell’Ue, spaziando dalle 31 tonnellate procapite della Finlandia – un dato influenzato dalle importanti dotazioni naturali del Paese in termini di risorse naturali, che rappresentano un perno dell’economia locale – alle 7 tonnellate procapite dell’Italia, il dato più basso di tutta l’Ue.
Complessivamente, i minerali non metallici incidono per oltre la metà (52%) nel Dmc europeo nel 2020, la biomassa per quasi un quarto (24%), i materiali energetici fossili per circa un quinto (18%) e i minerali metallici per il 5%. A fine 2020 il consumo di biomasse, minerali metallici e minerali non metallici si attestava intorno al livello di 20 anni fa, mentre il consumo di materiali energetici fossili è gradualmente diminuito negli ultimi due decenni.
Al di là della composizione, appare infatti in miglioramento il trend nei consumi di risorse naturali. Dall’inizio del millennio il Dmc europeo è diminuito da oltre 15,4 ton procapite a 13,4 circa, e molti Paesi (Italia compresa) in questo ventennio sono riusciti a traguardare anche un disaccoppiamento assoluto tra l’andamento del Dmc e quello del Pil.
Anche la produttività delle risorse naturali è cresciuta in Europa dal 2000 a oggi, ma spesso a incidere nella performance sono in larga parte i cambiamenti – strutturali o meno – portati dalle crisi economiche.
Nel corso del 2020, ad esempio, la produttività delle risorse è leggermente diminuita «in gran parte a causa di una significativa diminuzione del Pil dovuta alla pandemia di Covid», mentre è «aumentata notevolmente durante la crisi finanziaria ed economica del 2008-2009, a causa del pronunciato calo del Dmc. La crisi ha colpito le industrie ad alta intensità di materiali, come manifattura e costruzioni, più del resto dell’economia», spiega Eurostat. In compenso altri Paesi come la Cina hanno incrementato la produzione al posto nostro, e noi ci limitiamo all’import lasciando a loro gli impatti ambientali più invasivi.
Anche se all’interno di questo quadro in chiaroscuro, l’Italia svetta in Europa anche per la produttività delle risorse, piazzandosi al terzo posto. Qui serve 1 kg di materie prime per generare 3,7 euro di Pil, e a fare meglio sono solo il Lussemburgo (3,9 €/kg) e i Paesi Bassi (4,7 €/kg), a fronte però di un’economia nazionale più schiacciata su servizi e finanza rispetto alla nostra.
Si tratta di dati apparentemente incoraggianti, ma di certo non sufficienti per sederci sugli allori, in un contesto globale dove l’estrazione globale di materie prime è aumentata di 3,4 volte dal 1970 – passando da 27 a 92 miliardi di tonnellate l’anno – e dove in termini procapite i livelli di consumo di materiali nei paesi ad alto reddito (come il nostro) sono superiori del 60% rispetto a quelli a medio-alto paesi a reddito e 13 volte più alti rispetto ai paesi a basso reddito.
Finora l’Europa ha basato il proprio sviluppo economico su materie prime provenienti da altri Paesi e ancor di più l’Italia, dato che l’import pesa per oltre la metà sui flussi di materia che attraversano la nostra economia. Si tratta di uno sbilanciamento che mette a rischio anche la possibilità di concretizzare la transizione energetica richiesta dalla lotta contro la crisi climatica, che incrementerà notevolmente l’impiego di molti minerali per realizzare gli impianti e le infrastrutture necessarie.
La produttività delle risorse dovrà dunque continuare a crescere, guidata dall’innovazione tecnologica, anche se resterà necessario sporcarsi le mani aprendo nuove miniere e investire in modo massiccio nell’economia circolare: l’indice di circolarità italiano, nonostante anche in questo caso sia uno dei migliori d’Europa, è pari ad appena il 17,7%.